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La terra di Tanabata: rivisitare il mito

Terra di Tanabata

Indice contenuti

Ogni otaku sa cosa vuol dire “estate” in Giappone: ascoltare il tintinnio dei fūrin, indossare lo yukata, gustare una succosa anguria e… festeggiare Tanabata!

Questa strana estate del 2021, in cui tutti speriamo di poter tornare a una vita normale dopo un anno e mezzo di pandemia (i giapponesi, in più, devono risolvere il problema delle Olimpiadi), può essere l’occasione per recuperare un manga che presenta Tanabata da una prospettiva insolita: Tanabata no kuni (La terra di Tanabata), di Hitoshi Iwaaki.

LA FESTA DI TANABATA

Partiamo dalle basi: la ricorrenza cui si ispira il manga. In realtà non avrebbe bisogno di presentazioni, perché è una delle cinque feste più importanti del Giappone, la più suggestiva in assoluto, ed è ormai conosciutissima pure in Italia. Va da sé: lo è anche grazie a manga e anime, nei quali è onnipresente, non meno del Natale nei nostri film e telefilm.

Tanabata triangolo estivo
Il “triangolo estivo” cui si ispira la leggenda. (Immagini da Wikipedia.)

LA LEGGENDA

Di origine cinese, è la storia dolce e triste dell’amore fra due stelle: Orihime, la tessitrice, e Hikoboshi, il mandriano. Presi dalla passione, i due trascurano i loro doveri e così il Re del Cielo, padre di lei, è costretto a punirli. Gli amanti vengono separati dal Grande Fiume Celeste e possono riabbracciarsi solo una volta all’anno, allorché uno stormo di gazze crea un ponte che li ricongiunge.

IL CALENDARIO

Il fiume è naturalmente la Via Lattea, mentre Orihime e Hikoboshi corrispondono alle stelle che noi chiamiamo rispettivamente Vega (nella costellazione della Lira) e Altair (in quella dell’Aquila). Sono due delle tre stelle più luminose del cielo estivo (la terza è Deneb, del Cigno).

Per questo motivo la festa si celebra d’estate, per la precisione “la settima notte del settimo mese”. Questo è, infatti, il significato della parola “Tanabata”. Dunque, secondo il calendario gregoriano, sarebbe il 7 di Luglio. Ma è invalso l’uso di fare riferimento all’antico calendario lunisolare, perciò la data è variabile (come per la nostra Pasqua) e cade solitamente in Agosto. Per la verità, non è raro che varie località giapponesi scelgano di spostare ulteriormente la data, in base alle loro usanze ed esigenze.

LE TRADIZIONI

Anche le tradizioni variano a seconda della località. Come per ogni matsuri che si rispetti, ci sono sempre le caratteristiche bancarelle, illuminate da lanterne di carta, tra cui passeggiare in yukata, sfidandosi al tirassegno o assaporando takoyaki. Non manca mai un romantico e roboante spettacolo di fuochi d’artificio, da ammirare mano nella mano con la persona amata.

Ma, soprattutto, ciò che non può mancare sono i tanzaku, striscioline di carta su cui si scrivono i propri desideri, che poi vengono appese ad alberi o stecche di bambù, affinché Orihime e Hikoboshi le leggano ed esaudiscano.

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Tanabata Decorazioni
A sinistra, i famosi tanzaku. A destra, lanterne davanti al tempio Zojoji di Tokyo (fotografia di Sato Noriake).

IL MANGA

L’AUTORE

Tanabata no kuni alias La terra di Tanabata (1996-1999) è un manga di Hitoshi Iwaaki, meglio noto per il premiatissimo Kiseiju alias Parasyte alias L’ospite indesiderato (1989-1995).

A questo proposito, esprimo subito un parere personale. Come si vede dalle date, La terra di Tanabata segue Kiseiju. Io ero convinto, fino a quando ho dovuto documentarmi per questa recensione, che fosse precedente. Questa scoperta ha peggiorato la mia valutazione dell’opera.

Il fatto è che La terra di Tanabata è un manga gradevolissimo ma con alcuni precisi limiti che evidenzierò tra poco. Avevo sempre attribuito tali limiti a una certa acerbità di Iwaaki. Adesso, invece, La terra di Tanabata mi sembra un grosso passo indietro rispetto a Kiseiju. Mi impegno, in futuro, a leggere altre sue opere per chiarirmi le idee.

Terra di Tanabata
A sinistra, la copertina del primo volume dell’edizione italiana.
A destra, lo stendardo del villaggio misterioso (che non è quel che sembra).

L’EDIZIONE

Il manga è edito in Italia da Goen in quattro volumetti. L’edizione è di buona qualità. Devo però segnalare qualche pecca nella traduzione di Andrea Maniscalco (della cui competenza, in ogni caso, non si discute). Per esempio, la parola “ryokan” (“albergo in stile giapponese”), che ha comprensibilmente scelto di non tradurre, viene trattata come sostantivo a volte maschile e altre femminile.

LA TRAMA

Antefatto. Secoli fa il villaggio Marukami si ribellò al suo prepotente daimyō. Pochi contadini ebbero la meglio su molti guerrieri addestrati, grazie ai loro arcani poteri. Passò il tempo e si perse memoria dell’evento. Restarono però strani reperti archeologici, armature e altri manufatti, che presentano inspiegabili “buchi”.

Giorni nostri. Un imprenditore viene assassinato con modalità incomprensibili: il suo cadavere e la stanza in cui si trova sono pieni di “buchi”. Oltre alla polizia, inizia a indagare sull’accaduto anche un professore universitario, che successivamente scompare nel nulla. I suoi studenti si attivano per ritrovarlo.

Tra loro c’è Nanmaru, il protagonista, ragazzo non troppo brillante ma dotato di buon cuore. In più ha uno strano potere: riesce a “bucare” la materia col pensiero. Per la verità sa fare solo dei forellini piccini piccini, perciò nessuno gli dà troppa importanza. Ma, andando in cerca del professore, farà delle scoperte anche su sé stesso.

Terra di Tanabata
Gli… ehm… incredibili poteri del protagonista.
(Dettaglio dal manga. Lettura da destra a sinistra.)

FANTARCHEOLOGIA

Giunti al villaggio, Nanmaru e compagni si troveranno di fronte a un modo di celebrare Tanabata molto particolare, secondo antichi rituali tenuti segreti agli estranei.

Chiarisco subito, senza spoiler, che la “soluzione” del mistero è a carattere fantarcheologico: in sostanza, vengono ipotizzate origini soprannaturali della festività, tuttora esistente ma svuotata di significato. Ciò vi piacerà molto se siete appassionati di quelle simpatiche teorie secondo cui le piramidi egizie furono costruite dagli extraterrestri, i nazisti andavano in cerca del Santo Graal e i Maya profetizzarono la fine del mondo.

Ci sono tutti i cliché del genere. Per risolvere il mistero occorre infatti reinterpretare leggende, decifrare simboli (in particolare lo stendardo del villaggio), osservare la conformazione del territorio, studiare i cicli agricoli, confrontare il calendario moderno con quello antico, percorrere alberi genealogici e via congetturando.

Terra di Tanabata
Gente che ti guarda male e fa dei buchi.
(Dettagli dal manga in un mio montaggio. Lettura da destra a sinistra.)

RELATIVISMO ETICO

A questo punto si potrebbe pensare che il villaggio rappresenti un’umanità originaria incontaminata e la città, invece, tutte le bruttezze della società contemporanea. O magari il contrario: che gli studenti incarnino le conquiste del progresso destinate a raddrizzare i torti di un’antichità selvaggia e brutale. Non accade nessuna delle due cose. Nessuna delle parti in causa ha completamente ragione.

Gli abitanti del villaggio sono sì benintenzionati ma anche omertosi, moralmente ambigui ed evidentemente incapaci di maneggiare il segreto che custodiscono. La gente di città (compresi le istituzioni, il governo, la polizia, l’imprenditoria, la scuola, i mass-media) non ne esce meglio: è umorale, opportunista, ipocrita, credulona. L’unico che si salva, immancabilmente, è il genuino protagonista.

Insomma, l’elemento soprannaturale è un modo per significare che il vero mostro è l’uomo. Questo relativismo etico lo avevamo apprezzato anche in Kiseiju, dove gli umani non erano certo migliori degli alieni, i quali, a loro volta, avevano le loro buone ragioni. E non si può non pensare a tante opere dalla tematica affine, come il seminale Devilman o il nostrano Dylan Dog.

BODY-HORROR

Ma so già cosa volete chiedermi: c’è quel body-horror che tanto aveva colpito in Kiseiju? Sì, c’è, anche se in misura minore e in modi molto meno raccapriccianti. I morti ammazzati, anzi “bucati”, sono tutto sommato poco impressionanti, ma una certa inquietudine viene trasmessa dalle mutazioni corporee subite da una data categoria di personaggi. Ammetto che, alla prima lettura del manga, quando mi trovai di fronte alla forma “finale” della metamorfosi (tassello fondamentale del mistero) e capii cosa fosse qualche brividino lo provai.

TUTTO IL RESTO

Se invece volevate chiedermi dell’azione e della tensione, sappiate che abbiamo grande abbondanza di: messaggi segreti, sogni profetici, passi nel buio, telefonate troncate sul più bello, doppiogiochismo (anzi: multiplogiochismo), inseguimenti con bonus di sparatorie, tempo che sta per scadere, fanciulle in pericolo che hanno scoperto cose che non avrebbero dovuto scoprire, gente incappucciata che ti guarda male e tutto il vasto assortimento.

Se, però, l’unica cosa che davvero vi interessa è la storia d’amore… siete proprio delle brutte persone. Ma potete tranquillizzarvi: c’è pure quella.

LA GRAFICA

Come avevo anticipato, la qualità del disegno è inspiegabilmente inferiore a quella di Kiseiju. Il tratto è essenziale fino alla povertà. Gli sfondi sono realizzati tramite fotografie, affidati ai retini o del tutto mancanti. I personaggi sono resi con pochi tratti. Inquadrature e montaggio sono standardizzati. Per di più, vista la natura della storia, ci sono intere tavole composte esclusivamente di mezzibusti che parlano in una gabbia bonelliana. Un vero peccato.

Fortunatamente il tutto migliora nei momenti più intensi. In tali occasioni i personaggi vengono ritratti in maniera più realistica e dettagliata, con i caratteristici occhi spiritati che i fan di Kiseiju ben conoscono. Solo il protagonista non esce praticamente mai dal registro caricaturale, ma questo è coerente con la sua natura di cui sopra.

Anche le metamorfosi corporee sono rese in maniera più che soddisfacente, così come tutti quegli espedienti visivi da cui dipende l’intera impalcatura narrativa, e sono molti. In effetti, ampia parte del bello di questa storia sta proprio nelle variazioni di prospettiva cui sono sottoposti i corpi, il paesaggio, i simboli (primo fra tutti lo stendardo del villaggio), fino all’illusione ottica data da una macchia di sangue su un muro. Per non parlare dei “buchi”, che in realtà non sono buchi bensì sfere, che a loro volta non sono sfere bensì… Ahah, no spoiler, sorry.

Terra di Tanabata
Tutte le tradizioni di Tanabata: bancarelle, torii, tanzaku e… feticismo dello yukata.
(Dettagli dal manga in un mio montaggio. Lettura da destra a sinistra.)

CONCLUSIONI

L’opera non mi convince fino in fondo, ma non per mancanza di idee (che sono molte e belle) o per incoerenze narrative. Piuttosto, il problema sta, oltre che nei limiti del disegno, nel fatto che la storia è raccontata in maniera troppo lineare e senza mordente. Una sceneggiatura più coinvolgente avrebbe senz’altro giovato. Alcuni personaggi ed eventi sembrano importanti senza poi esserlo davvero, mentre altri vengono privati dell’approfondimento che avrebbero meritato. La scomparsa del professore, per esempio, è trattata con una tale grossolanità che il lettore, fin dal primo capitolo, si dice “È troppo semplice. Non può essere così.” E invece… è proprio così. È come se l’autore si autospoilerasse.

In conclusione, La terra di Tanabata offre una lettura affascinante se si rinuncia al bisogno di “colpi di scena a tutti i costi” e si gode del piacere di aggiungere lentamente al puzzle una tessera dopo l’altra: in questo modo la complessiva visione finale della ricca rete di simboli creata da Iwaaki non deluderà.

Quanto a Tanabata così come la conosciamo, la leggenda viene riscritta in maniera molto originale, mettendo in rilievo un dettaglio tutto sommato secondario (che comunque io vi ho menzionato fischiettando disinvolto nei paragrafi iniziali) e abbandonando la tematica sentimentale. Ciononostante, il mito originario viene rispettato nel suo spirito, perché si tratta pur sempre di un ricongiungimento, non tra due innamorati, bensì tra…

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