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La rappresentazione LGBTQ+ in manga e anime

Le sue labbra copertina

Indice contenuti

UNA PREMESSA AMICHEVOLE

Le righe che seguono costituiscono una recensione del saggio “Le sue labbra erano rosse, rosse come le fiamme…” La rappresentazione LGBTQ+ nel fumetto e nel cinema d’animazione giapponese, recentemente scritto da Camil Ristè e pubblicato da La Torre.

Il volume è un brossurato di 128 pagine al prezzo di € 18,50. Lo si può acquistare ovunque, in particolare direttamente online presso la casa editrice.

Ora, Camil Ristè noi lo conosciamo come Cami, e fa parte dello staff di Otaku’s Journal da quasi tre anni. Ne è anzi un elemento preziosissimo, vista la sua preparazione in materia sia di fumetti & animazione sia di lingua & cultura giapponese. Per di più, Cami è anche un amico personale di chi scrive.

Questa circostanza è tale da rendere ambigua la posizione del recensore, dal quale sempre si pretende la massima obiettività. Per questo motivo, ho deciso di giocare fin da subito a carte scoperte e di impostare il tutto nella maniera più sincera che ho trovato, separando nettamente dal resto le mie personali valutazioni dell’opera e completando il tutto con una mia intervista (ma diciamo pure “chiacchierata”) all’autore, che naturalmente ringrazio per essersi prestato.

IL LIBRO

(Descrizione e biografia dell’autore dal sito della casa editrice.)

Il linguaggio queer prodotto dalla cultura mediatica giapponese ci può svelare una narrazione spesso parallela a quella dei più famosi shōnen e shōjo, con sfaccettature articolate e radici più profonde di quanto si pensi. La presente ricerca parte da una ricostruzione storica della vita editoriale di manga, anime e riviste queer e, attraverso uno studio attento del linguaggio usato, ricostruisce l’evolversi di questi media e del loro pubblico. Attraverso l’analisi di alcune opere cardine, si vogliono evidenziare gli elementi fondanti di tale narrazione e come siano mutate nel corso dei decenni anche le aspettative dei lettori a riguardo. Una particolare attenzione viene data poi all’indagine dell’esperienza trans* e di non conformità di genere tramite titoli che propongono visioni relative a queste tematiche.

Camil Valerio Ristè (Jesi, 1992), laureato in Lingua e Cultura Giapponese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, è dottorando in Lingue, Letterature e Culture Moderne: Diversità e Inclusione presso l’Università Alma Mater Studiorum di Bologna dove svolge ricerche sui media giapponesi a tema queer. Parallelamente, la passione per il disegno lo ha portato a conseguire un diploma di fumetto all’Accademia di Comics, Arti Visive e Creatività di Jesi. Collabora con articoli sulla cultura queer al portale di approfondimento su manga e anime statunitense Anime Herald.

LE MIE IMPRESSIONI

Il mio verdetto è inevitabilmente positivo. Del resto, non mi aspettavo meno, considerata la qualità abituale del lavoro di Cami, che peraltro chiunque può verificare sfogliando il nostro sito.

Le sue labbra… è un libro perfettamente riuscito e, direi, “importante”. Offre infatti una trattazione sistematica di un argomento in merito al quale i contributi, per quanto ormai tutt’altro che episodici, erano finora affidati essenzialmente ad articoli su riviste, pagine Internet, podcast e simili, e per questo avevano natura frammentaria ed effimera. Quanto alla significatività della materia in esame, suppongo che non occorra dimostrarla.

Il testo è diviso in tre parti: la prima dedicata all’omosessualità maschile, la seconda a quella femminile, la terza alle identità trans* o comunque non conformi. Soprattutto riguardo a queste ultime, la letteratura era finora carente, quindi Le sue labbra… va a colmare finalmente questo vuoto e a costituire un pregevole compendio.

Ognuna delle tre parti presenta un breve excursus storico (che non teme, laddove necessario, di spingersi fino al Giappone dell’era Meiji, cioè quello tardo ottocentesco, e anche più indietro), una presentazione dello stato dell’arte e una analisi di qualche opera esemplare (Il poema del vento e degli alberi, Sailor Moon e così via).

Lo stile è asciutto come occorre che sia per una disamina a carattere scientifico, ma non per questo accademico o tecnicistico. Tutt’altro: il saggio è schematico e scorrevole. Questo grazie all’accorgimento di racchiudere nelle note a piè di pagina tutta la documentazione, le citazioni, gli approfondimenti e ogni altro dettaglio che avrebbe potuto appesantire la lettura. Troppo spesso, in questo tipo di pubblicazioni, chi scrive fa sfoggio di erudizione, incappa in divagazioni o, addirittura, tenta di affumicare gli occhi di chi legge nascondendo dietro al gioco dei rimandi una imbarazzante mancanza di contenuto.

Tali note hanno anche il vantaggio di spiegare accuratamente il gergo dei due mondi che qui si intersecano: quello di manga & anime e quello LGBTQ+. (E non è cosa da poco, considerato che, nel secondo caso, il lessico non è banale nomenclatura ma costruzione di identità.) In questo modo chi non sappia il significato di parole come otaku o queer non rimarrà indietro, mentre chi è già addentro non proverà il fastidio del rallentamento. In definitiva, il libro offre più livelli di fruizione e sa quindi rivolgersi sia alla persona mossa da curiosità sia a quella più esperta.

Da menzionare anche la presenza nel volume di varie immagini, alcune d’epoca, che chiariscono a perfezione l’atmosfera e l’estetica cui si fa riferimento.

Onore dunque alla Società Editrice La Torre per aver investito in un’operazione del genere. La casa offre peraltro un catalogo molto interessante e, mi permetto di aggiungere, un valido servizio clienti. Lo dico per esperienza diretta: ordinando il libro di Cami, ho commesso un errore nella procedura sul sito, per risolvere il quale ho ottenuto da loro risposte fattive, veloci e cortesi.

DUE CHIACCHIERE CON CAMI

PYER. Ti chiedo prima di tutto di inquadrare il ruolo di manga & anime nel Giappone moderno. Sul popolo giapponese esistono due pregiudizi di tipo opposto. Il primo (condiviso con i popoli asiatici in generale) è che sia freddo, privo di emozioni, o comunque imperscrutabile. Il secondo è che, al contrario, sia contemporaneamente e completamente fuori di testa, dedito a ogni forma di eccessi (la comicità demenziale, l’ubriacarsi ogni sera, l’attitudine alla prevaricazione, la sessualità esasperata, la violenza fine a sé stessa). Secondo te queste dicerie sono infondate, sono parzialmente vere o sono totalmente vere? Il fatto che gli eccessi di cui sopra si ritrovino abitualmente in manga & anime è semplice intrattenimento o è magari una valvola di sfogo per tutte quelle pulsioni che la rigidissima società giapponese reprime?

CAMI. Molte delle dicerie e degli stereotipi che si danno ad altre società o ad altri popoli hanno una base di verità che viene poi, a seconda dei contesti, enfatizzata, sminuita, esoticizzata o razzializzata. Chiaramente,  tutti gli elementi che hai elencato esistono all’interno della società giapponese, ma bisogna anche ricordare che – citando una mia professoressa di Triennale – “se è strano per te, lo è anche per la persona giapponese qualunque”. Inoltre, per dare giudizi così netti (divisi fra “noi” e “loro”), spesso si perde di vista la diversa forma mentis in gioco: la divisione fra reale e fittizio è più marcata nel contesto giapponese, risultando quindi in opere che lasciano correre la fantasia dell’autorǝ nel mostrare e/o riprodurre qualunque cosa desideri. Questo non vuole essere un giudizio né negativo né positivo al riguardo, semplicemente va preso come un dato di fatto con cui si deve fare i conti ogni qualvolta ci si incaponisca ad analizzare un’opera giapponese. 

PYER. Come spieghi efficacemente nel tuo libro, i BL, cioè i manga a contenuto gay, storicamente hanno un carattere sentimentale o pornografico, ma sono completamente disimpegnati, per non dire disancorati dalla realtà. Solo in tempi recenti sono arrivate opere consapevoli dell’esistenza di una comunità queer e dell’importanza di una sua rappresentazione. Potresti descrivere brevemente come è avvenuta questa presa di coscienza e quale sia la situazione attuale?

CAMI. Ormai da una decina di anni, il Giappone si è trovato a dover attivamente pensare alla sua fetta minoritaria di persone LGBTQ+, ma, come sempre, le innovazioni partono dal basso. Grazie anche all’evolversi del genere “autobiografico”, moltǝ autorǝ hanno potuto prendere le redini e scrivere di se stessǝ e delle proprie esperienze. Questo ha poi portato a una commistione con generi già preesistenti, come BL o yuri, in cui, per quanto si voglia parlare di personaggi fittizi, si vuole ricercare una maggior cura nel dettaglio “umano”. I personaggi descritti non sono più (solo) macchiette stereotipate di un “tal” personaggio queer, ma sono incasellati in una società e in delle relazioni che possono essere verosimili e assimilabili alla realtà di tutti i giorni. Alcuni esempi che mi vengono in mente sono Run Away With Me Girl di Battan (edito in Italia da Star Comics), dove si esplora la problematica delle donne giapponesi a riappacificare il proprio amore per altre donne e la spinta sociale a sposarsi (in un rapporto eterosessuale) ed essere madri, oppure Life – Camminando sulla linea (sempre edito da Star Comics in Italia), dove affiorano tematiche relative alle problematiche legate all’assenza del matrimonio egualitario in Giappone. Bisogna dire che, vista la popolarità del genere BL rispetto alla controparte femminile, rimangono comunque presenti dei canoni-stereotipo che difficilmente vedremo accantonati (es. l’intramontabile amore/ossessione per i personaggi “uke” e “seme” e le loro caratteristiche standardizzate e fisse).

PYER. A conferma di quanto sopra c’è il fatto che, inizialmente, i BL erano creati da autrici, solo donne e solo eterosessuali, per lettrici, anche loro donne ed eterosessuali (e, va da sé, tutte cis-). Nel tuo libro dici che ciò si verificava perché il pubblico femminile si immedesimava nei protagonisti maschili e nei loro amori proibiti. Vorrei chiederti in che misura tutto questo era una fantasia escapista o, al contrario, un modo per la donna giapponese di emanciparsi dalla propria condizione subordinata.

CAMI. Sicuramente all’inizio (e parliamo degli anni Settanta), erano in egual misura fonte di escapismo e di emancipazione: la prima avveniva con l’ambientazione esotica dell’Europa o della lontana Africa, farciti di drammi tragici, creati apposta per stuzzicare la fantasia e sfuggire alla monotonia di tutti i giorni; la seconda, invece, vedeva nella figura maschile la volontà di esercitare una libertà che spesso non era concessa a donne e ragazze. In tempi più recenti, invece, credo si sia consolidata la versione escapista come chiave di lettura del genere, o, più semplicemente, la voglia di leggere storie d’amore che non siano costrette nei canoni dell’eteronormatività più spiccia (perché, in ogni caso, molte storie BL ricadono nella visione della relazione come femminile contrapposto al maschile, mentre quelle yuri ricalcano ancora molto l’idea della “fase passeggera” di età scolastica).

PYER. Possiamo comunque dire che questo processo sia stato una sorta di cavallo di Troia, per cui tali opere scritte da autrici cis-het per lettrici cis-het abbiano gettato le basi per la nascita di una effettiva rappresentazione queer, finalmente affidata a persone facenti parte della comunità e diretta alla comunità stessa?

CAMI. Possiamo dire che sì, la grande fetta di autrici che voleva raccontare di storie fra uomini e ragazzi abbia portato una maggior “visibilità”, anche se molto fallace, a volte alienante e/o feticista, ma, al contempo, i veri vincitori che hanno portato in auge il genere BL/yuri sono stati due: il marketing e il consumismo. Tal storia piace, tal storia vende, tal stereotipo ci fa fare un tutto esaurito, allora spingiamo sul mercato opere tutte simili, finché sono lǝ autorǝ stessǝ che, leggendo quelle storie tutte simili, ne scrivono di proprie ricalcando il mainstream. Un cane che si morde la coda! Molte opere che sono fatte per e da autorǝ queer, come ho menzionato sopra, ricadono nelle opere autobiografiche o esplicitamente considerate “LGBT” (nella dicitura giapponese ci mancano un po’ di lettere rispetto a LGBTQ+/LGBTQI+), seppure ci siano sempre maggiori scostamenti dalla “maggioranza” (es. basti pensare agli autori gay di manga BL, come Mentaiko oppure Matsuzaki Tsukasa).

PYER. Di conseguenza (e qui mi riallaccio alla mia domanda iniziale), quando finalmente sono arrivati, manga & anime a contenuto queer erano il risultato di istanze ormai presenti nella società giapponese o è vero anche il contrario, cioè che siano stati essi stessi, almeno in parte, responsabili della formazione di una comunità autoconsapevole? La vita influenza l’arte, ma accade anche il contrario?

CAMI. Credo che sia sempre un po’ veritiera l’influenza reciproca, come ho illustrato sopra. 

PYER. Una cosa che ho molto apprezzato del tuo saggio è il fatto che si muova sia in senso diacronico sia in senso geografico. Cioè, è contemporaneamente una storia della società giapponese in sé e anche dei suoi rapporti con l’estero. In relazione alle tematiche queer, ti chiedo se manga & anime possano aver influito anche sul pubblico occidentale, in particolare quello italiano. Abbiamo la tendenza a mutuare tantissimo dalle opere nipponiche (si tratti dello stile di disegno, dei meccanismi narrativi, dei modi di dire, dei trend di abbigliamento, del gusto per il kawaii, eccetera). E tutto questo nell’ambito di una passione più vasta per la cultura giapponese. Anche nel tuo caso, se non sbaglio, è stato l’amore per manga & anime a spingerti a diventare prima un disegnatore e poi uno studioso a tutto tondo del Giappone. Insomma, se le nuove generazioni italiane sono un po’ più inclusive, possiamo dire che il merito è anche della vena otaku?

CAMI. Ho letto vari articoli sull’importanza che opere come Le rose di Versailles (Lady Oscar) o Sailor Moon abbiano avuto anche per un pubblico non giapponese, specialmente se ci si identificasse in una qualche sfumatura di queer. Posso dire che (secondo il mio modestissimo parere, niente fonti citate) c’è sicuramente stata una forte influenza e una altrettanto forte apertura verso alcune tematiche, data la rappresentazione che manga e anime hanno fornito sia di un’idea altra rispetto alle relazioni eteronormative (non sono prettamente non eterosessuali, ma sradicando l’idea della subalternità femminile), sia di una visione del genere più fluida rispetto a quella euro-americana.  

PYER. Ma che posto occupano i manga BL e queer nell’editoria italiana attuale? Sono una nicchia nel mercato dei manga che a sua volta è una nicchia in quello dei fumetti? Sono venduti ancora con sospetto, incellophanati e collocati in un angolino dello scaffale? Sono una gallina delle uova d’oro da sfruttare finché rende quattrini per essere poi messa da parte quando, esaurita la moda, non sarà più così redditizia? Oppure anche da noi queste pubblicazioni si sono ormai caricate di valenze identitarie tali per cui non si possono più nascondere né rimuovere?

CAMI. Nel mercato italiano, manga BL/yuri e queer stanno avendo un forte traino, per quanto non siano chiaramente ai livelli di titoli per un target shōnen o shōjo a livello più ampio. Tuttavia, penso che ricadano un po’ in tutte le opzioni che hai appena elencato: sono una nicchia, perché, appunto, i lettori sono relativamente pochi, ma allo stesso tempo sono lettori affiatati e seguono molto i nuovi titoli e/o collane. Allo stesso tempo, dipendentemente dalla casa editrice, troviamo la problematica relativa alla questione del “per un pubblico maturo”, dove a volte si decide di coprire il manga con del cellophane se si tratta di manga BL, ponendolo sullo stesso piano di un fumetto erotico (hentai, per farla breve), anche se nell’albo è magari presente una sola vignetta esplicita; con i manga yuri, invece, questo non avviene. E non credo sia un caso, dato che la sessualità maschile esplicita è sempre stata malvista, anche implicitamente, in molte sfaccettature della società italiana. La disposizione all’interno dei negozi, invece, è a discrezione: c’è chi li lascia in disparte, chi li cataloga come “una cosa a sé”, chi semplicemente li elenca in ordine alfabetico con altri titoli.

PYER. Al di fuori della produzione queer, più o meno “impegnata” che sia, di cui abbiamo parlato finora, si pone il problema della presenza di personaggi queer in opere mainstream. Stando alla tua riflessione, e anche alla tua sensibilità, tali personaggi sono più macchiette che alimentano gli stereotipi o possono avere anche un effetto normalizzante e quindi positivo? Gli esempi sono i benvenuti.

CAMI. Mi verrebbe da rispondere “dipende dal genere di riferimento”, in quanto le opere dirette ad un giovane pubblico maschile (shōnen) di norma rimangono più legate allo stereotipo mainstream, specialmente per quanto riguarda personaggi che non si ritrovano né nella categoria maschile né in quella femminile oppure, in generale, nella rappresentazione di donne transgender, che rimane spesso legate a stereotipi transfobici, rimanendo, come hai detto, nel “comico” (quindi non ridiamo con loro, ma di loro). C’è da dire che, ultimamente, ho trovato un po’ più di “tatto” nel rappresentare personaggi queer, seppur raramente troveremo un manga o un anime in cui il personaggio si dichiari con tal etichetta x o y, proprio per la questione della forma mentis e delle basiche storico-culturali che ho menzionato sopra e che esploro approfonditamente nel saggio.

PYER. E invece, per quanto riguarda il queerbaiting (cioè storie, o parti di esse, che ammiccano a relazioni omosessuali, o omoaffettive, o a identità non conformi, senza però esplicitare niente)? È solo un modo per accattivarsi le simpatie della comunità LGBTQ+ senza sbilanciarsi troppo, farsi etichettare e magari perdere il pubblico mainstream? Secondo te si tratta di un giochetto di sottintesi deliberatamente voluto? Lo guardi più con complicità o più con repulsione? O magari ritieni che la responsabilità sia tutta dei fandom, che sovrainterpretano le narrazioni per soddisfare le proprie fantasie e le proprie necessità?

CAMI. La questione del queerbaiting nelle opere giapponesi è molto complessa, proprio perché il termine nasce nell’ambito mediatico statunitense con una effettiva volontà di fare l’occhiolino al pubblico LGBTQ+ ma in quanto consumatori. Di norma, opere serializzate proponevano un personaggio “ambiguo” (principalmente nelle sue preferenze sessuali) senza mai portare a termine nessuna storia romantica o percorso effettivo nella scoperta di sé: anzi, molto spesso si incappa nel “bury your gays”, dove per anni quasi tutti i personaggi queer presentati agli spettatori morivano in un modo o nell’altro, anche per servire la trama (diverso è il dramma anni Settanta che troviamo nei fumetti giapponesi per ragazze, lì era solo per far scena tragica). Per lungo tempo, nella sfera giapponese, questa definizione di queerbaiting non poteva essere completamente applicata, proprio perché etichette come gay, bisessuale, lesbica, transgender, etc. non essendo autoctone ma importate, tendevano ad alienare lo spettatore e, perciò, si glissava sulla definizione del personaggio; ecco perché, per anni, abbiamo sentito o letto frasi come “mi piacciono i/le ragazzi/ragazze”, senza nessuna ulteriore spiegazione, oppure delle generiche “io non sono così (cioè, queer) di solito, ma tu mi piaci”. Oppure, al contrario, “a me non interessano gli uomini/le donne”.  Negli ultimi dieci anni, invece, si è visto un aumento vertiginoso del fenomeno otaku e fujoshi/fudanshi/fujin, per cui il team che crea una data opera (o “prodotto”) chiaramente sa di star facendo il favore del pubblico, il quale cerca solo un pretesto per poter mettere insieme i personaggi che più li aggrada e produrre “contenuto” tramite illustrazioni, storie brevi, grafiche, merchandise, etc., che favorisce a sua volta il suddetto “prodotto”.

PYER. Al di là delle macchiette e del queerbaiting di cui sopra, ho idea che la rappresentazione delle persone trans* in manga & anime sia più indietro, più antiquata, rispetto a quella di gay o lesbiche. È solo una mia impressione?

CAMI. Non è solo in anime e manga, purtroppo, ma un po’ in tutte le opere che ci circondano. Se il numero di artistǝ gay/lesbiche/bisessuali/asessuali, etc. che lavorano a opere mainstream è aumentato a partire dagli anni Novanta (o, per lo meno, più persone sono out), per le persone trans* si è ancora agli inizi. Sia perché sono una minoranza nella minoranza, sia perché c’è un forte ostracismo in quasi tutti i settori. Se si parla nello specifico del Giappone, la situazione è semplicemente diversa: proprio per il background storico del paese verso la fluidità di genere, possiamo avere dei personaggi che sfatano tutti gli stereotipi di genere (basti vedere Ed di Cowboy Bebop, Angel Demon di Chainsaw Man, etc., e sono solo i primi che mi sono venuti in mente), altri che sono consapevolmente visti in un’ottica binaria e/o medicalizzata (Tiger di My Hero Academia o Utsumi Natsuyoshi di Shimanami Tasogare), che quindi ricadono nel reale e sono più “rappresentativi”, in un certo qual modo. Chiaro, non sto dicendo che il personaggio di Tiger di My Hero Academia sia una “storia di vita vissuta”, ma fa piacere vedere un uomo trans che vive la sua vita come vuole e a nessuno interessa del suo passato (e la storia non lo ridicolizza per le sue scelte).

PYER. In ogni caso, il tuo libro si chiude con una prospettiva ottimistica, che questo tuo lavoro sia solo un punto di partenza. Quali traguardi auspichi per il futuro?

CAMI. Al momento sto svolgendo un dottorato di ricerca proprio in relazione alla rappresentazione queer in anime, manga e letteratura giapponese dagli anni Novanta al contemporaneo, quindi spero vivamente di poter pubblicare ancora qualcosa sempre a tema!  

PYER. Grazie infinite per le tue risposte!

CAMI. Grazie a te!!


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