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Il Museo Ghibli: un luogo unico e speciale

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Il fatto sorprendente della caotica Tokyo è l’assenza di rumori assordanti e di cattivi odori. Niente traffico frenetico, né fastidiosi clacson e l’unica cosa che colpisce l’olfatto è il mix di profumi speziati del cibo cotto in strada in alcuni quartieri. La pulizia, soprattutto nelle stazioni delle metropolitane, sorprende da subito il turista occidentale e lo fa riflettere sul vero significato della parola civiltà. Nella grande metropoli si trovano poi vere e proprie oasi di pace e tranquillità, dove il verde dei giardini e il silenzio, interrotto soltanto dallo scorrere dell’acqua dei vari laghetti, invitano alla riflessione e alla meditazione. In uno di questi luoghi incantevoli c’è la sede del Museo Ghibli, un luogo unico e speciale, costruito nel 2001 nel bosco di Mitaka, a quindici chilometri da Tokyo.

Il Museo Ghibli nel parco di Mitaka © Elena Paoletta

Il progetto

L’attrazione principale del Museo è l’edificio stesso, disegnato personalmente da Miyazaki usando la stessa tecnica che adotta come regista, ovvero con una sceneggiatura in divenire. Il progetto del parco ha preso vita partendo da una serie di tavole nelle quali l’artista ha schizzato le prime stanze. In seguito sono stati suddivisi gli spazi interni. Il maestro è dunque partito dai dettagli per arrivare all’insieme.

Per esaudire il mio sogno di visitare il Museo Ghibli è stato necessario prenotare i biglietti tre mesi prima del mio arrivo a Tokyo, vista la grande richiesta da ogni parte del mondo.

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L’idea di Museo

L’animazione è arte, ogni prodotto animato è un’opera di ingegno e di talento e Miyazaki vuole che il Ghibli Museum sia proprio un museo d’arte.

«Questo è il tipo di museo che voglio fare! Un museo interessante che rilassi l’anima. Un museo dove ci sia molto da scoprire, basato su una filosofia chiara e articolata. Dove coloro che cercano divertimento possano divertirsi, coloro che vogliono riflettere possano riflettere e coloro che vogliono emozionarsi possano emozionarsi. Un museo che quando esci ti faccia sentire più ricco di quando sei entrato». 

Chiarite le ambizioni, Miyazaki detta le sue regole: il suo museo deve avere ambienti che consentano di vivere insieme la visita, come se si stesse guardando un film. Non deve avere architetture oppressive o arroganti, ma spazi nei quali ci si possa sentire a proprio agio. Deve essere gestito in modo da far sentire i bambini come adulti, i membri dello staff soddisfatti e fieri del loro lavoro e deve essere per tutti.

 Picture © Elena Paoletta

Il colorato Ghibli Museum è dunque uno spaccato dell’universo fantasioso di Miyazaki e si propone come percorso creativo ed esperienza: la scritta all’entrata suggerisce: “Perdiamoci insieme”. 

La suddivisione dello spazio

Il museo è una sorta di guida al fantastico perfino nei biglietti, che raccontano una storia. Sono infatti frame di pellicole in 35mm, basta puntarli verso la luce per vedere cosa il destino abbia riservato ad ogni visitatore. A me è capitato quello de La città incantata.

La hall

Dall’entrata si scende verso il basso, attraverso un itinerario labirintico che sollecita il piacere dell’esplorazione. Ci si ritrova in una vasta hall attraversata da ponti e piani, sfalsati su vari livelli, dove lo sguardo e il cammino si sollevano verso l’alto. È lo stesso itinerario che compiono generalmente i protagonisti dei film di Miyazaki. Basta pensare a Chichiro, che ne La città incantata prima scende verso le caldaie e poi risale verso i piani superiori dell’edificio termale.

Totoro

Ad accogliere i visitatori nella hall è un monumentale Totoro in peluche.

Il capolavoro miyazakiano Il mio vicino Totoro (Tonari no Totoro, 1988) è un racconto intriso di tenerezza. Un film che resta tutt’oggi uno dei maggiori successi del cinema giapponese e che ha visto il profilo dell’animale immaginario Totoro diventare il logo dello Studio Ghibli. Il simpatico animale ha avuto l’onore di apparire in altre produzioni animate come in Toy Story 3, ne I Simpson e in South Park.

I giapponesi amano Totoro come gli americani amano Topolino. Per loro rappresenta il riconoscimento mondiale dell’animazione giapponese. Totoro è una sorta di spirito benevolo della foresta e si fa vedere solo da chi crede in lui. Le bambine protagoniste dell’anime vivono una situazione eccezionale, carica di responsabilità. Infatti a causa del ricovero in ospedale della loro mamma hanno un urgente bisogno di credere nella sua magia e nella sua protezione.

Il film esprime anche il contatto con il cambiamento, con lo sconosciuto, con il diverso. Con tutto ciò che può arrivare alla mente aperta dei più giovani e possa così aiutarli a fare quel salto, quel passo avanti nella vita in maniera sana. Tutti gli elementi necessari al percorso di crescita sono racchiusi in questo simpatico animale che offre protezione e trova le soluzioni ai problemi.

I personaggi tra i giochi di luce

Nella hall del Museo una porta si apre nella stanza delle meraviglie dove le vetrate, realizzate con forme e colori dei personaggi dei film, producono affascinanti giochi di luce che creano un’atmosfera da sogno. La stessa atmosfera si può ritrovare nei bagni meticolosamente curati e puliti.

 Picture © Elena Paoletta

Il soffitto della hall è affrescato e riproduce un sole luminoso in mezzo ad un cielo terso. Il tetto diventa così un ostacolo relativo, una finzione che l’uomo ha imposto a se stesso per giustificare la propria paura di puntare in alto.

Guardando bene si possono intravedere i personaggi di Miyazaki, da Kiki a Nausicaa, tutti festosi in volo. Non importa se si guarda con gli occhi o con il cuore. Il messaggio di Miyazaki è che tutto è possibile all’interno di questo spazio, senza promettere più meraviglie di quelle che ognuno può cogliere.

Con grande emozione ho riconosciuto subito la piccola strega Kiki (Kiki consegne a domicilio, 1988) che parte sulla sua scopa per iniziare un addestramento lontano da casa. Pensando di trovare quel mondo che si era idealizzata si scontra però presto con le difficoltà della vita. Tutti ostacoli che la introducono all’amicizia, all’impegno e alle responsabilità della vita vera.

 Picture © Elena Paoletta

Il piano terra

La sala principale del piano terra, dominata da un lucernario con ventilatore a pala, è animata da scale a chiocciola e passaggi nascosti, uno scenario perfetto per ambientare una favola e soprattutto per far percepire il movimento, come immagine e come la “brezza” tanto cara a Miyazaki.

Il vento è infatti l’elemento simbolico della sua intera carriera come dimostra il suo ultimo film Si alza il vento (2013). Il vento è l’elemento che indica all’uomo la rotta della sua creatività per abbattere ogni pregiudizio, bigottismo e menefreghismo verso il nostro stesso mondo.

Il piano terra ospita anche una stanza dove i temi musicali dei più importanti film accompagnano il visitatore. Ci si può soffermare su una sorta di casetta in penombra le cui finestre, attraverso dei fotogrammi, rappresentano ognuna l’anno di uscita dei vari anime di Miyazaki. Per gli appassionati del genere è una cosa da brividi e lacrime!

I film del maestro non sono mai fini a se stessi. Vedere una sola volta un suo anime può essere limitante per il pubblico che non può coglierne istantaneamente tutti i significati inseriti, più o meno esplicitamente, all’interno della storia.

Miyazaki infatti costringe lo spettatore a una difficile e stimolante sfida culturale. Lo obbliga a liberarsi dalla tradizione e a leggere il cinema proprio come si fa con i manga, nel verso opposto a quello al quale si è da sempre abituati. Le sue critiche feroci alla società, espresse attraverso i suoi film, oscillano sempre fra la sua compassione per l’umanità e la preoccupazione per il futuro dell’uomo. Tuttavia il regista lo fa in modo artistico e non lanciando messaggi banali o morali.

Sebbene tutti i suoi capolavori siano squisitamente giapponesi, per quanto riguarda la sensibilità e i sentimenti, l’estetica e l’intensità drammatica sono universali.

Porco Rosso

La sorpresa più grande è stata quella di trovare un po’ ovunque la sagoma dell’indimenticabile Marco Pagot protagonista di Porco Rosso, perfino sulla lavagnetta del menu del bar in terrazza.

 Picture © Elena Paoletta

Porco Rosso è un anime del 1991 che rispecchia la linea di pensiero di Miyazaki: il voler vivere libero senza ostruzioni e oppressioni. Ogni cosa che il protagonista dice diventa una citazione epica e lo avvolge in un alone di mistero. Questo porta lo spettatore ad essere attento ad ogni battuta per cercare di capire il suo passato e la sua psiche, chi ama, chi odia e chi rispetta e quale è il suo obiettivo, il suo scopo.

Nulla si sa di preciso e tutti questi misteri arricchiscono il protagonista e fanno muovere sia sottotrame che tutti gli altri personaggi intorno a lui. Nell’ironia di Porco Rosso, si legge un odio per la guerra e il fascismo, elementi dannosi per la libertà dell’uomo: «Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale». Con questa frase Marco Pagot inneggia alla totale libertà nella vita: preferirebbe rimanere l’unico maiale antropomorfo nel mondo, piuttosto che stare sotto una dittatura che di sicuro gli imporrebbe dei limiti. Questa è forse la spiegazione che meglio si adatta anche alla tanto desiderata costruzione dello Studio Ghibli.

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Il primo piano

Il primo piano ospita la mostra permanente sulla nascita di un film di animazione. La prima stanza è quella di un ragazzo, con un tavolo da disegno, schizzi, libri e giocattoli. È il rifugio dove il regista ha riunito gli oggetti simbolo delle sue passioni, le icone amate, modellini di aeroplani inclusi.

È proprio quella la stanza più importante, senza età, che più che un luogo fisico è il luogo metafisico della memoria, dove si riuniscono voci, sensazioni, accenni e spunti. Il passato come motore è lì in quella serie di schizzi, che dal pavimento arrivano fino al soffitto, a suggerire la ricchezza della fantasia e i colori dell’inconscio: dalla teoria alla pratica.

Un’altra sala è dedicata completamente ai gadget da acquistare. Come non approfittarne?

La stanza del maestro

La stanza che però mi ha emozionato più di tutti è stata quella che rappresenta il luogo di lavoro di Hayao Miyazaki.

Per chi come me è amante del disegnare e colorare, vedere la sua scrivania è stato entusiasmante. Tutti i suoi strumenti di lavoro erano posizionati proprio come se lui fosse lì ad usarli durante un suo processo creativo. Questa visione mi ha svelato anche lati inediti della sua personalità. Il caffè, il posacenere pieno di mozziconi di sigarette insieme alle matite colorate, agli schizzi, alle foto, ai libri lasciati aperti a sottolineare le ispirazioni, convivono con ironia e semplicità. Danno una visuale del mondo lavorativo sensibile e umana, un ritratto intimo del maestro Miyazaki che mi ha veramente commosso.

Peccato che dentro al Museo sia assolutamente vietato fotografare. Si è controllati praticamente a vista dai numerosi membri dello staff, quindi le foto si scattano con gli occhi e restano nella memoria del cuore.

Su una delle porte che introducono alle varie sale, spicca il poster di Principessa Mononoke (Mononoke Hime, 1997) che trasmette un monito attento sul discorso ecologico tanto caro a Miyazaki.

Mononoke

«In tempi remoti la Terra era ricoperta di foreste, in cui sotto le sembianze di immensi animali si aggiravano da sempre gli spiriti della natura. Uomini e animali allora vivevano in armonia».
Il film è carico di una voluta violenza per riproporre la tematica a lui cara. Ogni tentativo dell’uomo di rubare prepotentemente la scena alle forze naturali e soprannaturali e dirigere così il corso degli eventi, è solo fonte di rovina. Per raggiungere la pace e l’armonia del mondo è necessario trovare un equilibrio. È un Miyazaki combattuto tra il pessimismo sulle azioni dell’uomo e l’ottimismo che l’essere umano ancora qualcosa può fare per salvare il mondo in cui vive. 

La sala cinema

Il museo ospita una sala cinema da ottanta posti ed ha il soffitto dipinto come fosse il cielo, per celebrare le luci e il buio della notte. Vi si possono vedere cortometraggi esclusivi, che non hanno diffusione al di fuori del cinema stesso e quando le luci si accendono, la magia rivela i suoi trucchi, mettendo in mostra il proiettore.

Ho visto un corto molto carino e delicato che, attraverso due animaletti di uno stagno, spiegava come si possono superare le diversità. Ci si riesce proprio con l’aiuto proprio di chi consideriamo diverso, liberando la mente da pregiudizi e guardando il mondo dal suo punto di vista. Tutto il lavoro di Miyazaki è un tributo al potere di un’immaginazione straordinaria

Il secondo piano

Il percorso di visita al Museo vuole essere sia di crescita che culturale, così Miyazaki ha fatto costruire al secondo piano la Mitaka, o Tri Hawks, una biblioteca per ragazzi con libri suggeriti da lui stesso. 

C’è anche una collezione che include rodovetri e stampe di scene dei film e tra le attrazioni c’è, solo per gli under dodici, il Gattobus in peluche. Personaggio del film Totoro, il Gattobus è una sorta di autobus che solo la fantasia dei bambini riesce a vedere.

Li trasporta così velocemente da un luogo a un altro del bosco incantato dove vive Totoro. Questa grande attrazione occupa un’intera sala del secondo piano e intrattiene allegramente i piccoli visitatori che si divertono ad entrarci. Nessun effetto speciale, solo la possibilità di realizzare il desiderio di toccare con mano l’illusione.

Il giardino pensile

Impressionante è la cura meticolosa dedicata ad ogni pianta, o ramoscello che sia, negli spazi aperti. Ho visto personalmente una donna dello staff controllare, foglia per foglia, una siepe e togliere delicatamente quelle secche.

 Picture © Elena Paoletta

Fuori al Museo una scala a chiocciola conduce allo splendido giardino pensile su cui campeggia una statua in bronzo alta cinque metri. É un’opera dell’artista Kunio Shachimaru e raffigura uno dei Robot Soldato di Laputa, custode di quel parco segreto. Fortunatamente negli spazi aperti del Museo si può fotografare, così ho potuto scattare alcune foto ricordo.

 Picture © Elena Paoletta

Laputa

L’anime Laputa (1986), ispirato ai Viaggi di Gulliver e ai testi futuristici di Jules Verne, insegna dei valori basilari e importantissimi. L’amicizia, i piccoli amori, ma anche la cattiveria dell’uomo, la vita del mondo reale con le varie sfaccettature, una caratteristica che sarà sempre presente nei film futuri di Miyazaki. Laputa incarna tutte le passioni e i sogni del regista e non solo. Tutti desideriamo di poter volare, di essere liberi, di raggiungere qualcosa di impossibile e di più avanzato rispetto a noi. Questo misterioso castello riassume tutti questi sogni e per questo tutti desiderano raggiungerlo, ma solo chi se lo merita può avere l’onore di vedere il mondo da lassù.

Il protagonista maschile, rivolgendosi alla protagonista femminile, dice: «Quando sei scesa dal cielo mi sono emozionato. Doveva essere per forza l’inizio di qualcosa di straordinario». Sicuramente anche questo è un riferimento alla nascita dello Studio Ghibli, visto che Laputa è stato il primo film prodotto dallo Studio

Il Grande Orologio meccanico

Una menzione a parte va doverosamente fatta per il Grande Orologio meccanico anche se questo non si trova al Museo.

Realizzato sempre dall’artista Shachimaru, nel 2006 per la NTV, un’emittente televisiva privata con sede nel quartiere di Shimbashi, all’interno di Minato a Tokyo, è stato disegnato da Miyazaki. Progettato e realizzato in oltre quattro anni, è il più grande orologio animato mai costruito. Alto dodici metri e largo diciotto, con un peso di ventotto tonnellate, ha nel suo meccanismo una musica che include perfino lo sparo di un cannone.

Ispirato a Il Castello Errante di Howl, ne ripropone le atmosfere steampunk e soprattutto le magie perché, se il Museo accende la fantasia bisogna che poi il fantastico contamini lo sguardo in ogni luogo.

Il Castello Errante di Howl

Sempre in stile steampunk sono una serie di oggetti in ferro o in ottone ispirati a Il Castello Errante di Howl (2004), sparsi lungo tutto il percorso del Museo.
Nei suoi toni cupi e invecchiati, i tombini, la fontana, la vasca, le borchie, i lampioni, rivelano il tesoro di una fucina in movimento, come fosse il dietro le quinte del Castello, a spiegare alla gente come e perché la magia va avanti.

D’altra parte Howl può intendersi come la personificazione dell’aspetto creativo di Miyazaki, del suo contrasto fra ottimismo solare e cupo pessimismo. Ma anche fra il desiderio di rinnovarsi e il bisogno di rimanere fedele al proprio mondo poetico.

La scena in cui la fiamma di Calcifer torna nel petto di Howl viene sottolineata da Miyazaki con la frase: «Non sono mai cambiato dalla mia infanzia». Evidenzia il contatto vitale fra creazione e memoria, tra i sogni dell’infanzia e la loro realizzazione attraverso la passione artistica.

Il sogno avverato

Howl dice anche: «Senza la bellezza che senso ha vivere?» e porta con sé una grande verità. Senza il fascino e la creatività di questi anime, senza maiali a bordo di idrovolanti e la libertà nel cielo; senza i sogni e le speranze dei bambini e senza quei mondi così caratteristici e particolari; senza le leggende, i misteri, i mostri, le maledizioni, le trasformazioni, i paesaggi e le creature fantastiche ma cariche di poesia, la bellezza non esisterebbe.

L’emozione, i brividi e i sussulti al cuore che regala la visita al Museo Ghibli, diventano un tutt’uno con quelli che regala l’animazione del maestro Miyazaki.

Il mio ultimo giorno in Giappone non poteva essere più bello, degna conclusione di un viaggio meraviglioso e tanto desiderato! ❤

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