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Naoki Urasawa: le origini del mito

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Naoki Urasawa: proemio

Naoki Urasawa nasce a Fuchū (Tokyo, regione del Kanto) il 2 gennaio del 1960. Sin dalla sua infanzia dimostra di avere passione per il disegno, specialmente per quanto riguarda i manga. Egli stesso racconta di come da bambino fosse ossessionato dalle (famose) opere di Osamu Tezuka, in particolar modo Astroboy che, nella seconda metà del 20° secolo, diverrà praticamente un vero e proprio eroe per i bambini.

Un’altra opera molto venerata e celebrata nei lavori dell’autore è il GeGeGe no Kitaro di Shigeru Mizuki, l’ennesimo titolo divenuto famoso (soprattutto) in Giappone solo dopo gli anni ’60, dunque quasi parallelamente al Tetsuwan Atom tezukiano che, all’epoca, rappresentava una delle principali potenze del mercato manga, nonchè dell’universo fumettistico.

Ed infatti possiamo ricollegare le primissime opere di Urasawa come Beta!! e Pineapple Army proprio a queste due leggende. I personaggi stile cartoon di Tezuka, che Naoki tentava affannosamente di copiare in un modo o nell’altro durante la sua gioventù e le ambientazioni grottesche (per un certo verso) e realistiche (adottate poi su personaggi “deformati”, ma questa è un’altra storia) di Mizuki, visibili ad esempio nei bellissimi panorami tedeschi/cechi di “Monster”.

Nonostante questa sua incontenibile passione, quello che diverrà in seguito uno dei più abili disegnatori non intraprenderà la tortuosa strada del mangaka sin dal principio, bensì deciderà di seguire gli studi presso la facoltà universitaria di economia a Tokyo. La carriera da artista sembra persa per sempre, ma è solo una mera apparenza: ben presto infatti gli editori di Shogakukan mettono gli occhi sul suo talento e, volendolo tutto per sé, decidono di arruolare il giovane in quella che all’epoca pareva una vera e propria guerra all’ultima vignetta. Cominciò così per Urasawa la cosiddetta “scalata alla vetta”.

Prima di cominciare a discutere questa mini linea del tempo, tengo a precisare un piccolo particolare: per scelta personale ho evitato di inserire le prime opere del mangaka, quali Beta!!, Pineapple Army, Dancing Policeman, NASA, Jigoro!, i suoi oneshot contenuti in Naoki Urasawa, gli esordi ed infine, anche se pubblicato nel 2017, Mujirushi. Ho dunque preferito stendere una lista dei titoli che hanno maggiormente contribuito a rendere l’autore fra i più valenti della nostra epoca. Buona lettura.

[1986-1993] “Yawara!”: la corsa agli spokon

“I just want to be a normal girl!”

Comincia così quello che si potrebbe considerare come il periodo fiorito per Naoki Urasawa. Ovviamente, intendiamoci, Yawara! non è la sua prima cartuccia sparata, prima di questa l’autore tentò il successo con Beta!!, il quale non riscosse successo, per poi tornare alla ribalta con Pineapple Army, in seguito stoppato, evidentemente per un motivo simile a quello precedente.

Yawara! rappresenta in soldoni il colpo di pistola che precede la maratona, una sorta di Big Bang. È curioso e piuttosto ironico vedere come Urasawa abbia voluto segnare l’inizio della sua leggenda proprio con uno spokon. Generalmente, quando sentiamo il suo nome ci vengono in mente titoli come Monster o 20th Century Boys, manga che hanno collezionato un gran numero di successi proprio grazie a quell’alone di suspance ed imprevedibilità che celano dietro le loro pagine e mai solo una semplice storiella.

Semplicità. Nonostante possa sembrare banale, è proprio questo l’approccio che Naoki Urasawa vuole adottare. Accantonando quella porzione di idee che fino a tre anni prima avrebbe considerato i suoi cavalli di battaglia, l’autore decide di buttarsi a testa bassa nel mondo dei manga sportivi, consapevole degli alti rischi cui poteva andare incontro. La posta in gioco era piuttosto alta: da una parte incorrevano le prime difficoltà causate dall’impatto con il nuovo genere, dall’altra vi erano i capisaldi dell’universo spokon, un esempio (nonchè muraglia impenetrabile) poteva ad esempio essere Ashita no Joe, meglio conosciuto come il Rocky Joe del 1968.

Proprio per questo Urasawa non si pone in mente l’obbiettivo di abbattere il capolavoro di Takamori, bensì (essendo all’epoca ancora un principiante) di contribuire anche in maniera minima allo sviluppo del manga sportivo. E questa volta riuscendoci. Yawara! contò ben 29 volumi, concludendosi nel 1993, annata di esordio di altri titoli quali Rough (1987) di Mitsuru Adachi, Hajime no Ippo (1989) di George Morikawa e sua maestà Slam Dunk (1990) di Takehiko Inoue.

Potremmo dunque dire che Naoki Urasawa riuscì all’epoca a tener testa a capolavori passati e odierni (che successivamente omaggerà con piccole citazioni/riferimenti) e, nonostante Yawara! non sia divenuta un’opera di fama mondiale, ha saputo in un qualche modo mostrare i denti e dunque farsi valere.

[1988-1994] “Master Keaton”

“Florence, I like it.”

Nel 1988 Urasawa decide di distaccarsi momentaneamente dalle tematiche spokon. Così, dopo circa una trentina di Kata Guruma e Kibisu Gaeshi (mosse di judo), l’autore compie la scelta di imbarcarsi in un lungo secondo viaggio, questa volta ponendo il focus sull’archeologia.

Dall’ingenua e sbadata Yawara Inokuma passiamo al brillante professor Taichi Hiraga-Keaton: un ex-veterano di guerra. È bellissimo vedere come il mangaka non tralasci nemmeno il più capillare dettaglio. Il genere di uno dei suoi primissimi lavori, Pineapple Army, viene nuovamente (anche se parzialmente) proposto, ma questa volta calorosamente accettato.

Possiamo anche notare come il protagonista di Master Keaton possa fungere da “primo schizzo” per uno dei personaggi meglio realizzati da Naoki Urasawa, ovvero il celeberrimo dottor Kenzo Tenma, primario in neurochirurgia all’ospedale di Düsseldorf, nonchè protagonista del pluripremiato Monster.

Scrivendo e disegnando la storia di Master Keaton, Urasawa non fa che creare le fondamenta per un palazzo che verrà poi costruito in futuro. La molteplicità di personaggi, gli uni diversi dagli altri, che compaiono in questa nuova opera fungono praticamente da antitesi se confrontati con la prospettiva “monotona” adottata in Yawara!.

Va considerato inoltre come, per l’appunto, questi ultimi interagiscano direttamente con il protagonista: eccoci davanti ad una narrazione più aperta, i riflettori vengono posti sulle figure secondarie per far vedere che anche queste sono presenti e vive all’interno dell’opera generale.

[1993-1999] “Happy!”: dal judo al tennis

“Are you happy?”

Ed in seguito arrivò Happy!, un secondo spokon dalle tematiche libere, leggiadre ed emozionanti. Probabilmente considerato da molti uno dei manga meglio riusciti di Urasawa. Certi lo reputano un degno sfidante di Billy Bat, Monster e 20th Century Boys, altri lo ritengono addirittura meglio, collocandolo in uno dei tre gradini del podio. Infine, ci sono voci che lo inseriscono persino al primo posto.

Ma (o almeno a parer mio) Happy! non è opera che vuol’essere giudicata, benchè meno essere messa a confronto con gli altri lavori dell’autore. Siamo nel 1993, un anno prima dell’uscita di Monster, che oramai abbiamo preso come punto chiave per orientarci. Il mangaka prova nuovamente a migliorarsi, probabilmente non pienamente contento/convinto di Yawara!, oppure semplicemente per urlare al mondo:“No! Io posso fare di meglio”.

L’opera in questione può essere considerata come una perfetta evoluzione del primo spokon urasawiano, un aggiornamento che lo stesso autore vuole dare al suo stile. Passerà del tempo infatti prima che questi riprenda in mano delle tematiche sportive (ad ora ancora non è successo), limitandosi, da questo momento in poi, a scrivere solamente piccole dediche in altri suoi lavori.

Ma perchè Happy! è ritenuto così “diverso” o “speciale”? È questo il bellissimo quesito da porsi. Happy! non è intrigante secondo un certo aspetto, il filo narrativo in sé per sé è un qualcosa di estremamente rilassante e realista, libero da qualsiasi genere di oppressione. La storia (racchiusa in 15 corposi volumi) è di facile e soprattutto libera interpretazione, tanto che il finale potrebbe essere previsto addirittura nei primi volumi; nonostante ciò, non importa se il “The End” pensato dal lettore coincida o meno con quello di Urasawa, riesce comunque a sorprendere.

L’opera non si limita semplicemente ad essere un “concentrato sportivo”, mostra anche ciò che c’è dietro l’animo umano e che, solitamente, una persona tende a nascondere, ignorando. Ancora una volta Naoki Urasawa da segno della sua maestria, disegnando con il suo pennino dei piccolissimi (ma ferrei) legami fra un personaggio e l’altro, escludendo il presupposto che questi ultimi siano buoni o cattivi.

Si nota perfettamente che ogni figura presentata non sia posizionata o scelta casualmente, persino quelle meno importanti hanno il loro perchè. Happy! è una storia che racconta di sentimenti come la rabbia, la felicità, la tristezza e l’odio e l’autore sa quando e dove inserirli, centrando sempre l’obbiettivo. I protagonisti del manga vanno amati, altri odiati, ma alla fine tutto coincide, finendo a parare su un’unica grande domanda che tiene in mano le redini del manga:“Are you Happy?”.

[1994-2001] “Monster”: l’exploit di Urasawa

“Look at me, look at me, the monster inside me has grown this large.”

Nel 1994 si verifica quella che sembra un’esplosione nucleare: nasce il capolavoro di Urasawa. Monster è da molti considerato come il “masterpiece” dell’autore, il suo lavoro meglio riuscito e dopotutto come negare queste affermazioni? Monster è effettivamente un manga perfetto sotto ogni criterio o punto di vista, qui non si parla più di sport, altruismo o spensieratezza, non troviamo più la vita di tutti i giorni, le amicizie, stiamo parlando di un inquietante e grottesco thriller.

Ciò che stupisce non è tanto il netto e deciso cambio di tematiche, bensì come queste vengano rappresentate, discusse ed interpretate. Protagonista delle vicende è il già citato Kenzo Tenma, un brillante neurochirurgo nonchè primario assoluto dell’ospedale tedesco di Düsseldorf. Nonostante il racconto cominci nel migliore dei modi, questa trama subirà ben presto un cambiamento radicale, gettandosi a testa bassa nel lato più oscuro e diabolico dell’essere umano.

Tutto comincia a sfaldarsi, dalle relazioni fino alla carriera di lavoro, quelli che erano visti come amici ora sono i nemici più sospetti e pericolosi. Ben presto il protagonista si ritroverà addirittura sui manifesti da ricercato, considerato colpevole di un omicidio. Comincia così un’estenuante fuga, ma non c’è luogo in cui rifugiarsi, né persona di cui fidarsi. Tutto inizia con la sparizione di due gemelli eterozigoti e tutto (in seguito) cambia per colpa di un inaspettato e acido colpo di scena: la “vera” natura di colui che Naoki Urasawa delinea come Johan Liebert, un mostro, o forse no.

Dentro Monster troviamo un bagaglio culturale immenso, tutto è deciso ed organizzato nel minimo dei particolari, Urasawa è un burrattinaio che muove accuratamente e lentamente i fili delle sue marionette, facendoli pian piano incrociare fra di loro, dando di conseguenza inizio a nuovi archi narrativi. L’intera trama ha come “Musa” il pentimento, la vendetta, anche una minima azione, il più piccolo passo falso può portare allo sconvolgimento della storia, dando origine a delle “anomalie”.

Il messaggio lanciato da Urasawa non è superficiale, bisogna scavare, proprio come i suoi personaggi scavano affannosamente in cerca della verità (se così la si può definire). Uno dei muri portanti è il nazismo, un concetto onnipresente in Monster, basti pensare solamente al muro di Berlino e a tutte le discriminazioni etniche che avvengono nel dilungarsi degli avvenimenti.

L’autore non riesce solamente a creare una trama “perfetta”, riesce addirittura a creare dei personaggi vivi, che fanno paura, che fanno piangere, che fanno sorridere, che fanno riflettere. Basti pensare solamente a Johan, che all’interno della trama assume un ruolo centrale: l’unica mente consapevole di tutto tranne di sé stesso. Il filo narrativo è un viaggio che i protagonisti devono intraprendere a loro rischio e pericolo, certi muoiono, ma mai casualmente, muoiono perchè è loro destino morire, altri sopravvivono, subendo delle impressionanti trasformazioni.

Chi pensa di essere buono è in realtà malvagio, nessuno è al sicuro dal “mostro”. Ma chi è questa misteriosa entità? Questo è l’enigma che Urasawa, in seguito ad uno spaventoso finale (che ammetto all’epoca rivoluzionò il mio modo di vedere i manga) lascia aperto: che fosse in realtà una chiusura del sipario a libera interpretazione? Potrebbe essere considerata veramente una fine? Oppure tutto ciò non è mai cominciato e dunque nulla sarebbe mai esistito?

[1999-2006-2007] “20th/21st Century Boys”: il richiamo della gioventù

“Justice never dies.”

20th Century Boys è, molto probabilmente, l’opera più conosciuta dell’autore, nonostante questa sia collocata (quasi) al centro della “linea del tempo”. Questo manga è speciale, difatti apre le porte al 21°secolo, è un biglietto di benvenuto.

Guarda caso la rivolta di 20th Century Boys comincia proprio nel 1999 e le tematiche sono quelle: totalmente coerenti con il salto d’epoca. È proprio in questo periodo della sua lunga carriera che Urasawa posiziona l’ennesimo tassello per perfezionare il suo personalissimo stile, i tanti amati “viaggi nel tempo”.

Sono dettagli che verranno in seguito ripresi, modellati e migliorati in Billy Bat, un’opera in cui il frequente flashback urasawiano si evolve, diventando una vera e propria “macchina del tempo”. Inutile dire che 20th Century Boys è un capolavoro (o almeno questa è l’idea che mi sono fatto leggendolo). Il secondo cavallo di battaglia di Urasawa è un’opera fuori dal comune: assistiamo ad un Giappone vittima di una persona decisa a cambiare la storia solamente con la sua mente, questi è il cosiddetto “Amico”, leader di una strana e misteriosa setta comparsa improvvisamente dal nulla.

Come disse anche qualcun’altro, il bello dell’opera è il realismo che questa nasconde. Effettivamente nel corso dei secoli sono esistiti svariati personaggi che, solamente con la forze delle parole, sono riusciti a modellare il futuro a loro piacere, lasciando una gigantesca orma nella storia del nostro pianeta. Sarebbe però stato fin troppo semplice concludere il tutto in questo modo, e, come ben sappiamo, il nostro Urasawa tende a fare le cose in grande. Decide dunque di inserire piccole chicche come… non saprei, forse il fantomatico ed onnipresente “Libro delle Profezie”.

Tutto in 20th Century Boys è condizionato dall’opera che Kenji e la sua banda scrissero durante la loro gioventù, sono semplici, immaginarie e bambinesche idee: pistole laser, robot giganti (e qui il richiamo al Tetsujin 28 di Yokoyama è piuttosto forte), alieni che minacciano la pace terrestre, pericolose sette con a capo persone che si offrono volontarie per diventare il nuovo dio, di tutto e di più.

Naoki Urasawa si pone dunque l’obbiettivo di trasformare l’irreale nel reale, dei passatempi/giochi per ragazzini in una minaccia mondiale. L’autore gioca d’astuzia, compiendo piccoli passi, facendo compiere ai suoi personaggi piccoli interventi e, ben più importante, puntando i riflettori sulla figura giusta, al momento giusto e per il giusto tempo. Per tutta la storia il lettore è obbligato a porsi una fatidica domanda:“Chi è l’Amico?” e Urasawa, ovviamente consapevole di ciò, assume un atteggiamento che potremmo definire giocoso (come di consuetudine del resto), divertendosi a tenere sulle spine il pubblico, concedendo solamente piccoli indizzi incerti. Molti di questi non vengono nemmeno totalmente spiegati, lasciando spazio alla nostra immaginazione, proprio come si fa quando si è bambini.

[2003-2009] “Pluto”: un Astroboy 51 anni più giovane

“Everyone…”

Esattamente 51 anni dopo l’avvento di Astroboy (che ricordiamo essere stato pubblicato nel 1952) Naoki Urasawa si trova davanti ad un bivio (che lui stesso decide di affrontare): realizzare il remake di uno dei manga più famosi del mondo, oppure rinunciare? Inutile riflettere, ovviamente il mangaka sceglie di imbarcarsi in una nuova avventura. Nonostante questa determinazione iniziale, ben presto i primi ostacoli vengono a galla, la pressione era veramente alta, così come la posta in gioco.

Il più piccolo errore avrebbe potuto portare un’acerba delusione: un’opera del calibro di Astroboy non poteva venire lordata, bensì solamente eguagliata o al massimo superata. I risultati però (anche qui) non tardano ad arrivare. Dopo molto impegno e sudore versato Urasawa riesce finalmente a sfornare una trama degna di Osamu Tezuka, un perfetto remake de “Il più grande robot del mondo”.

Assistiamo ad uno stravagante cambio di protagonista e già qui la cosa poteva attirare qualche critica su Pluto da parte degli “Astroboy-fan”. L’opera è quella di Tezuka, ma Tetsuwan Atom non è più il personaggio principale? Esattamente, per i primi 6 volumi (e la serie ne conta 8) gli sguardi saranno tutti per Gesicht, il mitico investigatore tedesco dell’Europol. L’autore è nuovamente consapevole dei rischi a cui va incontro, ciò che bisognava realizzare era infatti un personaggio simile ad Atom, ma questo non sarebbe potuto accadere, altrimenti il copione sarebbe risultato noioso.

Naoki Urasawa decide così di giocare la sua carta forte, già vista in passato in Monster e 20th Century Boys: il mistero, la suspance, dei pezzi grossi dell’intrattenimento in sostanza. Alla fine della partita, insomma, il profilo del detective è il profilo del classico personaggio urasawiano, cupo (inizialmente), con uno stuzzicante ed oscuro passato alle spalle che andrà man mano a ricomporsi, proprio come un puzzle.

Inutile poi aggiungere altro, la storia tezukiana viene insaporita leggermente con un pizzico del fare urasawiano: un misterioso assassino con un unico obbiettivo, eliminare i cosiddetti “7 robot più forti del mondo”. Il tutto si miscela infine con un briciolo di sentimentalismo. Generalmente un automa non prova sentimenti, ma quelli di Urasawa ignorano questo dogma, piangono, ridono, odiano, riescono addirittura a percepire sentimenti all’animo umano impossibili.

[2008-2016] “Billy Bat”: il pipistrello che viaggiò nel tempo

“Now go on…and draw.”

Billy Bat è l’opera conclusa più recente (ovviamente tralasciando Mujirushi) di Naoki Urasawa. Secondo svariate critiche e analisi il titolo viene da molti considerato come un degno rivale di Monster e 20th Century Boys, venendo dunque posizionato al terzo posto del podio. Ed effettivamente Billy Bat è l’ennesimo cavallo di battaglia del maestro, estremamente ponderato e veramente ben pensato.

Considero l’affermazione che segue come una mia personalissima opinione: l’opera in questione potrebbe rappresentare una tentata evoluzione (in quanto scelta stilistica) di 20th Century Boys. Né infatti in Happy!, né in Monster e né in altri si erano visti passaggi temporali così longevi come nel secondo capolavoro di Naoki Urasawa. Un altro squisito dettaglio da evidenziare nel manga è sicuramente la dettagliata linea storica che viene inserita nel contesto: l’uomo primitivo, Gesù Cristo, Giuda, Francesco Saverio, Albert Einstein, Adolf Hitler, Lee Harvey Oswald, JFK e molti, molti altri nomi appartenenti a personaggi storici di una rilevante importanza.

È sempre interessante vedere come l’autore riesca a modellare gli “ostacoli” che si trova improvvisamente davanti, o che decida lui stesso di autoporsi al fine di spingersi al limite, di mettersi alla prova. La storia della nostra specie è già in sé molto articolata e complessa, nonostante ciò, se quella che si vuole realizzare è un’opera mozzafiato, è necessario imbattersi in queste problematiche per poi superarle. E si deve ammettere che il nostro Urasawa riesce in questo alla perfezione, intrecciando proprio l’odissea umana con un qualcosa di moderno: il fumetto.

Come tocco finale è bene però inserire un ponte fra questi due concetti così estranei fra loro e quale interprete migliore se non il simpatico e scaltro Billy Bat? (probabilmente ispirato al protagonista fumettistico più famoso di tutti i tempi, ovvero la creazione di Walt Disney: Mickey Mouse). Se ci fermiamo a riflettere un momento sono veramente tanti i richiami a Topolino, il più evidente è forse Billyland, l’alter-ego di Disneyland.

Riprendendo ora in mano il filo del discorso è estremamente necessario spendere due parole sul personaggio del pipistrello detective, forse forse il vero protagonista di Billy Bat. Figura principale sono i fumettisti, secondo Naoki Urasawa questi hanno il potere di cambiare il mondo utilizzando semplicemente una matita e una gomma. Essere un fumettista è però al tempo stesso alquanto faticoso, l’opera ci insegna infatti come un semplice scarabocchio non possa venire immediatamente cancellato in un colpo solo.

Dopotutto però, queste persone sono a loro volta comandate da Billy Bat, che nel manga assume un ruolo simile a quello di “Dio”. Non ci si può tirare indietro, bisogna cogliere l’attimo perchè ogni secondo che passa è un’occasione frantumata. Solamente da questi piccoli atteggiamenti possiamo capire come dentro ad ognuno dei protagonisti delle vicende vi sia in realtà un pizzico di Urasawa, che, in un modo o nell’altro, tenta, come al solito, di trasmettere al pubblico le sue perle filosofiche.

[2018-in corso] “Asadora!”: la ragazza nel cuore della tempesta

“Asa Asada, 17 years old. From the sky, her grand return.”

E, per concludere in bellezza, un astro urasawiano nascente: Asadora!. Anche qui, nonostante l’opera sia da “poco” cominciata, è possibile intravedere quel filo narrativo storico, tanto amato quanto usato dal nostro Urasawa. I principi fondanti sono quelli già visti in 20th Century Boys, assistiamo alla crescita del nostro piccolo protagonista, che in questo caso è una piccola e determinata ragazzina delle elementari, un classico insomma.

È ancora presto per gettare conclusioni fondate, ciò che si può dire è che i contenuti racchiusi all’interno di Asadora! sono particolarmente interessanti e azzeccati (fino ad ora). Per riportare un esempio, le Olimpiadi: un concetto chiave che sta alla base del filo narrativo e un’introduzione da urlo, veramente (e di nuovo) somigliante all’inizio di 20th Century Boys.

Le premesse sono buone e anche questa volta quell’alone di mistero che la maggior parte dei lavori di Urasawa porta con sé è ben presente (oramai divenuto un segno squisitamente indelebile). La trama sembra tirare ancora per le lunghe e noi, da bravi spettatori, non possiamo fare altro che attendere che il bozzolo si schiuda.

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