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My Broken Mariko: “Ti ho fatta arrabbiare?”

Indice contenuti

NB: questo articolo tratterà temi quali suicidio, autolesionismo e abuso, sia psicologico, che sessuale.

Passando in fumetteria, presi fra le mani questo volumetto dalla sovraccoperta azzurra con una illustrazione frontale, dipinta in digitale in stile olio su tela. Il nome mi sembrava familiare, ma non ne ricordavo né l’autrice né l’eventuale sinossi.

Dopo aver passato qualche minuto a sfogliarne le pagine, mi decisi a comprarlo. Il volumetto è rimasto, come tutti i libri (o fumetti) dell’epoca contemporanea, settimane ad attendere di essere di nuovo scelto fra la pila infinita al lato della mia scrivania, finché una sera fu graziato dalla mia somma benevolenza (leggasi: pigrizia) e lo lessi tutto d’un fiato. Non me ne sono pentito.

La mia copia. Tutte le foto presenti in questo articolo sono state scattate ed editate senza dialoghi da me, direttamente dal volumetto.

Estetica

My Broken Mariko, di Hirako Waka, è edito da J-POP in Italia e dalla casa editrice Kadokawa in Giappone nella categoria BRIDGE COMICS, dedicata ai lavori autobiografici (o エッセイ漫画 essay manga, in giapponese). L’opera, del 2019, segna il debutto dell’autrice con un primo volumetto completo, diviso in quattro capitoli, più una storia extra intitolata YISKA, su cui non mi soffermerò.

La versione italiana

La versione italiana si presenta con, appunto, una sovraccoperta morbida, che dà risalto alla bella illustrazione della protagonista, grazie alla scelta della stampa su carta patinata opaca. I colori risultano vivaci e in linea con il volumetto originale. All’interno, troviamo due facciate a colori: una illustrazione e il sommario.

La prima pecca, che ho notato mentre leggevo, è l’impaginazione. Una piccola vignetta mi ha fatto da chiave di volta, facendomi capire che l’intero volume era impaginato in un formato… Sfasato. Questa scelta crea dei tagli alle vignette abbastanza sgraziati. Non dico “abbastanza sgraziati” solo perché, una volta notati, diventano palesi e fastidiosi, ma perché vanno ad intaccare l’armonia della vignetta.

La vignetta della discordia;
notare il taglio a sinistra a bordo pagina.

Il perché di questa strana impaginazione è presto detto: il formato originale è un B6 giapponese (128x182mm), mentre il formato italiano è – circa – un A5. Il “circa” sta approssimando, visto che gli A5 sarebbero 210x148mm, ma questa versione ha 2mm in più! Tutti i tagli sono dovuti ad un ridimensionamento, da un formato più piccolo ad uno più grande.

Sì, lo so, sembro pignolo, ma l’arte del fumetto sta anche in questo: l’armonia della pagina, della vignetta e dell’albo in sé, dovrebbero sempre essere rispettate. In questo caso, alcune vignette – mancando di quell’aria in più data nella versione originale – ricreano una sensazione claustrofobica, come se fossero disegni troppo grandi per lo spazio che occupano, il che è un vero peccato.

Per il resto, la traduzione di Silvia Ricci è scorrevole e favorisce l’immedesimazione con la protagonista. Inoltre, apprezzo sempre quando un albo presenta delle note esplicative nella pagina! Mi sono reso conto che, nello specifico nel settore anglofono, si tende sempre di più ad adattare completamente la qualunque, creando delle traduzioni che, a volte, sono controproducenti e abbastanza ostiche da digerire. Viva le note!

Lo stile artistico

La mano di Hirako è estremamente espressiva, dando vitalità a ogni movimento, sia esso di un personaggio seduto o intento a correre disperatamente. Il tocco comico dello stile è usato sempre in modo azzeccato e complementare alle scene. Da una parte abbiamo un momento solenne o contemplativo, dall’altro, a fargli da specchio, c’è una controparte stilistica più leggera e giocosa, ma che non toglie mai alla struttura narrativa.

Hirako sa anche riprodurre uno stile più “realistico” (o verosimile), come si vede sia in copertina, che dal suo account Twitter. Tuttavia, in My Broken Mariko, l’autrice ha preferito un tratto più stilizzato a punta finissima, accompagnato dall’uso di retini per definire la scala di grigi. Lì per lì, quando ho iniziato a leggere, i disegni mi hanno ricordato un po’ quelli di FLCL (2000). Saranno gli occhi, mi sono detto.

La gabbia che troviamo nella composizione delle pagine non ha nulla di particolare, anzi; Hirako ha sfruttato una struttura chiara e diretta, che, assieme al posizionamento dei balloon e delle vignette, rende il fumetto comprensibile e scorrevole. Le pause vengono date dai lunghi silenzi, che intercalano la narrazione con flashback o primissimi piani, figure intere che spezzano la scene per un climax emotivo. Bello, bello!

Trama

L’intreccio di My Broken Mariko va subito al sodo, già dalla prima pagina. La protagonista, Shi’ino Tomoyo, è intenta a mangiarsi una meritata cena in un ramen bar, quando, dalla televisione del ristorante, sente una notizia che la sconvolge: dopo aver ingerito grandi quantità di sonniferi, una ragazza si è suicidata, buttandosi dal quarto piano della palazzina in cui abitava.

Quella ragazza era la sua migliore amica, Mariko.

Scossa, Shi’ino torna a casa e cerca di contattare Mariko, ma non ottiene risposta;  inizia il lutto. Descritto perfettamente in tutte le sue forme — lo shock, la negazione, la rabbia, la depressione, la contrattazione e, infine, l’accettazione – il lutto farà da padrone, accompagnando Shi’ino nella sua lunga ricerca di una chiusura con la figura di Mariko.

L’ultimo viaggio delle ceneri della giovane porterà Shi’ino verso il mare, un luogo a loro caro; la meta di una futura gita fuori porta. Un ricordo rimastole, che sperava in un futuro più roseo, migliore.

Adesso, Mariko non c’è più. Shi’ino è completamente sola, nel suo parlare, nel suo dolore. Nessuno può capire la mancanza, il vuoto lasciato da Mariko— l’assenza.

Eppure, l’unica soluzione è andare avanti.

Eppure, l’unica soluzione è una vita senza Mariko.

Temi

 La perdita

Subito dopo aver sentito la notizia della morte di Mariko, Shi’ino si sforza di razionalizzare l’accaduto. La sua amica non aveva dato alcun segno di volersi togliere la vita. Nessun taglio, nessuna frattura, nessun livido. L’inganno della nostra mente che cerca di trovare un senso logico all’atto del suicidio.

Le due sono legate a filo doppio, sin dall’infanzia. Infatti, questa improvvisa assenza distrugge Shi’ino, portandola a una serie di azioni sconclusionate, erratiche, dettate solo dal dolore. Lei, che delle due era quella dal carattere forte, indipendente e proattivo.

Si pianta il seme del futuro tumulto emotivo, raccontato man mano nelle pagine del volume. Una volta che la consapevolezza di non essere stati abbastanza e dell’impotenza davanti al fatto compiuto, Shi’ino scivola in una visione paradossale della realtà e, d’impulso, pensa all’unica cosa rimasta di Mariko, l’ultimo legame. Le sue ceneri.

Il compagno di viaggio della protagonista saranno proprio queste ceneri, l’ombra di Mariko, un’idea eterea, il cui sorriso fa capolino nelle vignette con una dolcezza nostalgica. Magari, anche noi abbiamo conosciuto una Mariko; sicuramente l’abbiamo conosciuta.

L’abuso

Negli ultimi anni, ho notato una crescente consapevolezza del concetto di abuso (in qualunque sua forma) e cosa esso implichi, come aiutare chi ne è stato vittima e come capire, noi stessi, quando la situazione in cui ci troviamo ci sventola le cosiddette red flags.

In My Broken Mariko, il personaggio titolare ha passato la sua intera infanzia a subire violenza, fisica, sessuale e psicologica, da parte del padre— Manesco con la sua ex-moglie e, per non farci mancare nulla, anche con l’attuale compagna. Mariko ha vissuto questo sopruso continuo nella presunta ignoranza degli adulti che la circondano, in primis sua madre, che arriva addirittura ad accusare la figlia di aver sedotto il padre (victim blaming).

Mariko non può lasciarsi alle spalle l’abbandono e la violenza, due facciate della stessa medaglia e, da adulta, le relazioni che ha con gli uomini sono tossiche, chiaramente figlie del suo passato. L’abuso fisico è all’ordine del giorno, eppure Mariko continua a tornare dagli stessi uomini che la fanno soffrire, come in un cerchio infinito.

Consapevole di essere “rotta”, di avere “qualcosa che non va”, Mariko non riesce a salvarsi.

La tragedia va ben oltre il mero atto, ma anzi, va ad intaccare ogni singola parte della nostra vita. Si ripercuote anche su chi, davvero, ci ama e sente la frustrazione di non poter fare nulla. Vediamo Shi’ino che, nella sua fuga notturna verso il mare, ha brevi flash del passato con Mariko, dove la ragazza si approccia ai concetti di morte e di autolesionismo con leggerezza; come se le fossero alieni. I suoi sorrisi sono distanti, bellissimi, sofferti.

L’amore

Ogni momento con Mariko è pregnante, dandoci l’impressione che ogni conversazione fra le due dovesse essere memorabile. Com’è ovvio, la nostra visione della giovane donna è assolutamente parziale e dettata dai ricordi di Shi’ino.

Entrambe provano un affetto che sembra trascendere la semplice amicizia, avvicinandosi più a un amore platonico e, per alcuni versi, a quello filiale. Il senso di protezione e calore che Shi’ino trasmette a Mariko è palese, palpabile.

Mariko, nella sua adolescenza emotivamente acerba, ha anche tentato di imporsi come unico amore di Shi’ino: non sarebbe riuscita a sopportare l’idea che l’interesse del suo unico baluardo potesse essere focalizzato su qualcun altrǝ.

La loro relazione complicata, fatta di onestà e tenerezza, mostra anche un’ovvia lettura queer. La nostra società, come anche quella giapponese, apprezza e accoglie le amicizie più “affettuose” fra due persone solo se identificate come donne, rendendo, quindi, molto più difficile la propria esplorazione affettiva o sessuale in quanto donna.

Proprio in virtù di questa limitazione sociale, si può vedere, nelle due, la volontà di fuggire l’una in compagnia dell’altra, per essere finalmente libere di potersi amare nel modo che ritengono più consono.

In tutta franchezza, ho apprezzato molto la narrazione sottile ma, allo stesso tempo, esplicita di questo rapporto così complicato, un rimando alle reali relazioni umane con cui abbiamo a che fare tutti i giorni.

Conclusioni

In un’intervista a Real Sound, Hirako ha spiegato come la storia di My Broken Mariko sia stata ispirata a quella di una persona a lei cara, che, a differenza della deuteragonista del manga, per fortuna è riuscita a sfuggire al ciclo oppressivo dell’abuso. Tutta la frustrazione sentita da Shi’ino, trasposta magistralmente, sono l’autobiografia dell’autrice: la sua impotenza, il suo dolore, nero su bianco.

Se cercate una lettura particolare e toccante, non posso che consigliarvi di acquistare My Broken Mariko, da conservare nella vostra libreria e sfogliare ogni qualvolta vogliate rivedere Mariko per un’ultima volta.

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