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March Comes in like a Lion: recensione

march comes in like a lion recensione

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Tratto dall’omonimo manga ( 3月のライオン – tradotto orribilmente in italiano come “Un marzo da leoni”), scritto e disegnato da Chika Umino, March comes in like a Lion ha avuto una trasposizione animata divisa in due stagioni. Prodotta da Shaft e diretta da Akiyuki Shinbō, la prima è andata in onda a partire dall’ottobre 2016 (disponibile in primo luogo su VVVVID), mentre la seconda lo stesso mese dell’anno successivo. Entrambe sono ora reperibili sulla piattaforma Netflix, pur non essendo sua esclusiva.

L’incipit

La narrazione verte sulla vita di Rei Kiriyama, un adolescente divenuto già in tenera età un giocatore professionista di shōgi. Rimasto orfano, infatti, viene affidato a una famiglia adottiva. Lì usa questo gioco strategico come valvola di sfogo e vi si appiglia con tutte le proprie forze. Poco dopo, non reggendo la pressione delle invidie dei fratellastri, abbandona il nido per andare a vivere da solo. La sua esistenza si divide esclusivamente tra scuola e partite di shōgi.

Rei e Kyoko

A illuminare le ombre del suo passato travagliato arrivano le tre sorelle Kawamoto: anch’esse condividono con Rei lo stesso triste destino da orfane. Si instaura un legame affettivo che pian piano va saldandosi sempre di più. I momenti con loro permettono al nostro protagonista di tirare lunghi sospiri di sollievo dallo stress quotidiano e dalla depressione oramai cronica. Le ragazze lo trattano a tutti gli effetti come un membro della propria famiglia.

Temi, personaggi e ritmo

L’intera serie è permeata da temi come solitudine, depressione, paura e delusione, bullismo. Il tutto sviscerato alla luce del sole, palesemente. L’anime ha perciò un’impronta decisamente introspettiva. Anche per questo motivo – per lasciare spazio a riflessioni ed emozioni dei personaggi – il ritmo è abbastanza lento. 44 episodi totali (ad oggi) sembrano davvero troppi per delle vicende che cronologicamente non avanzano granché. L’atmosfera rimane spesso pacata e quasi “sopita”, ciondolando in un malinconico torpore che accoglie sì le partite di shōgi, ma soprattutto i drammi interiori dei personaggi.

Rei

Per queste ragioni, molti potrebbero additarlo come noioso. Ma non è difficile comprendere che anche le partite sono un escamotage per raccontare l’animo dei giocatori, non solo scambi di mosse tra avversari. Nessun personaggio è ridotto a macchietta: sono tutti ben caratterizzati. Ognuno di loro ha tratti definiti. Il loro passato è un’ancora… Ciò che li ha portati ad essere quello che sono, in quel determinato momento della loro vita.

A tutto ciò, però, si alternano momenti di comicità e leggerezza. Le sorelle Kawamoto incarnano amore e speranza. Hanno anche loro bui trascorsi, ma sorridono alla vita. Illuminano il sentiero di Rei, che a piccoli passi esce dal suo guscio ed inizia il suo percorso di evoluzione e crescita.

Rei

Emozioni fluide

Cosa regna sovrana per tutta la durata dell’anime? Cosa porta lo spettatore ad andare avanti nella visione? L’empatia.

March Comes in like a Lion ha il potere di far immergere completamente il pubblico, sicuramente merito dello staff che ha lavorato alla serie. Fin dai primi minuti possiamo ammirare il singolare disegno utilizzato: simile a quello manuale e che trasuda tristezza. Ogni inquadratura è intrisa di malinconia, soprattutto nei primi piani. A onor del vero, si riconosce anche lo stile unico di Akiyuki Shinbō, supervisore e regista di quasi tutte le opere Shaft, dove fonde elementi visionari e e surreali con arte tipografica.

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I pensieri dei personaggi sono descritti durante queste particolari scene, catturando completamente l’attenzione per come sono state disegnate. Trascinano lo spettatore con i loro silenzi, le loro ombre, i loro colori spenti o cupi.

Le immagini utilizzate durante i titoli di coda ne racchiudono poi l’essenza. Il buio, la pioggia, l’annegamento… E successivamente la luce, il sereno, l’ascensione. Autoesplicativo. Se tutto ciò non dovesse bastare, accorrono in nostro aiuto le lyrics delle ending: ripercorrono sentieri in cui ci si sente persi, ma poi si trova la via per uscirne e risplendere, magari grazie a qualcuno di vicino.

Vale la pena vederlo?

march comes in like a lion recensione

Personalmente, non trovo sia un capolavoro assoluto, ma… C’è un ma. L’impatto emotivo è talmente forte, quasi brutale, che lo eleva a qualcosa di quasi incomprensibilmente efficace. Il risultato esiste, nonostante le lente partite e lo svolgersi quasi inesistente della trama.

Due stagioni che raccontano un percorso di formazione, non ancora terminato. Non siamo d’altronde tutti nella medesima situazione? Non stiamo tutti crescendo e cambiando, giorno dopo giorno? Non siamo un po’ più consapevoli rispetto al passato? E soprattutto… Come si può rimanere indifferenti di fronte a così tante emozioni, tutte insieme?

Rei si definisce un cuculo: abbandonato dai genitori – come il volatile in questione – e cresciuto nel nido di altri, quasi come un parassita. Nonostante questo fardello, riuscirà a volare da solo e trovare il suo posto nel mondo? Forse anche uno Zero (Rei – appunto – in giapponese) come lui in fondo se lo merita.

Rei

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