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Le sigle degli anime in TV

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Dagli anni Settanta ad oggi, molti sono cresciuti vivendo avventure spesso formative e piene di valori, oppure semplicemente fantastiche, grazie all’animazione giapponese. 

Il primo anime trasmesso in Italia risale al 4 aprile 1978. Alle ore 18:45 sul secondo canale della RAI fu mandato in onda il primo episodio di Atlas Ufo Robot.

Da subito a catturare l’attenzione dei telespettatori fu uno squillo di trombe e un coro che annunciava: «Ufo Robot! Ufo Robot!». 

La sigla dell’anime narra le gesta di Goldrake, un eroe con una corazza d’acciaio, armi invincibili e un indomabile coraggio. Da quel momento in poi ogni eroe degli anime televisivi ha una propria canzone, che racconta le sue imprese e lo fa immortale per intere generazioni.

Ad ogni anime la sua sigla

All’inizio gli anime arrivati in Italia avevano le sigle originali (anison = anime + song) cantate in giapponese da divi famosi, che duravano quanto una canzone pop. In Italia si decise di sostituirle, a volte puntando sulla qualità, altre riscrivendole in fretta tenendo poco presente l’anime a cui erano destinate.

Nel 1978, per la sigla di Heidisi mantenne la musica ma il testo fu riscritto in italiano da Franco Migliacci, uno dei parolieri più importanti della musica leggera. La canzone, cantata da Elisabetta Viviani, ottenne un successo clamoroso entrando nella hit parade dei 45 giri.

Per questo, il mercato discografico allestì un settore dedicato alle sigle degli anime.

Composte ed interpretate da artisti famosi, come I Cavalieri de Re, Nico Fidenco, Giorgio Vanni, Cristina D’Avena, queste canzoni sono rimaste nella memoria di tutti.

Il ruolo della sigla

Il ruolo delle sigle fa riferimento principalmente a quattro funzioni: deve attirare l’attenzione prima dell’inizio della puntata; deve introdurre la storia; deve presentare i personaggi principali e infine mostrare i credits della serie.

Devono avere un inizio folgorante, in grado di catturare da subito l’attenzione su ciò che si vedrà. Alcune rivelano subito il nome del protagonista (Devil Man, L’Uomo Tigre), altre lo annunciano in un crescendo risonante (Il Grande Mazinga Daltanious). Il coro poi lo richiama accompagnato da squilli di tromba per non farlo dimenticare mai più (UFO RobotCapitan Harlock).

Poi però l’attenzione dello spettatore va mantenuta. Le immagini chiariscono allora l’ambientazione e gli altri personaggi, sempre aiutate dalla musica forte e chiara.

L’ending rappresenta la passerella finale, la sfilata dei credits, il riconoscimento dovuto a tutti coloro che hanno lavorato all’anime.

In Giappone generalmente è sempre della durata di una canzone pop, mentre in Italia a volte viene usata nuovamente la sigla iniziale ma tagliata e rimontata per le esigenze di tempo che richiede la messa in onda.

Anche la sigla finale è accompagnata da immagini ma, al contrario di quella iniziale, qui sono  statiche perché non devono raccontare nulla, solo porre l’attenzione sullo staff che ha reso possibile la realizzazione di quell’anime.

L’importanza delle parole

Come per ogni canzone anche per le sigle sono fondamentali le parole. Se la musica suscita emozioni e deve rimanere impressa in testa, le parole la caratterizzano e a volte la rendono unica.

Ne è un esempio la sigla della serie anime Le rose di Versailles.

La canzone Lady Oscar conquistò il pubblico, arrivando perfino al settimo posto della classifica settimanale dei dischi più venduti. Se l’anime era visto dai bambini, la sigla aveva una vita propria e una propria fortuna. Fu composta in tre giorni e approvata perfino dalla produzione giapponese. 

Conquistato dalla storia, il musicista Riccardo Zara scrisse una musica orchestrale, ricca di strumenti poco usati nelle sigle, quali l’arpa, il violino e il violoncello. Il testo suscitò però una polemica, in particolare per alcune frasi. La prima riguardava la nascita di Oscar e recitava: «Grande festa alla corte di Francia»,ma la festa non c’era visto che il «il buon padre voleva un maschietto». A rafforzare questo dolore si ribadiva: «ma ahimè sei nata tu». Questo verso fu giudicato moralmente inaccettabile, ma paradossalmente decretò la fortuna della canzone ancora oggi cantata da tanti.

Sono tuttavia gli interpreti a lasciare il segno nel vastissimo panorama musicale degli anime. 

Il fenomeno Cristina D’Avena

Per molti anni la sigla degli anime televisivi, ha un solo nome: Cristina D’Avena. La cantante bolognese vanta la carriera in assoluto più duratura nel settore. Nel 1968, partecipa allo Zecchino d’Oro arrivando terza con il celebre Valzer del Moscerino. Gli anni successivi la vedono impegnata con il coro dell’Antoniano di Bologna fino al 1981. Quando la Fininvest la ingaggia per interpretare le sigle delle serie animate del suo palinsesto, il suo primo singolo è la sigla di Bambino Pinocchio, che si aggiudica il disco d’oro con cinquantamila copie vendute, a cui segue La Canzone dei Puffi, un suo intramontabile cavallo di battaglia. I successi si susseguono a raffica: GeorgiePollon Pollon combina guaiL’incantevole CreamyOcchi di GattoKiss Me LiciaSailor Moon, solo per citarne alcuni.

Un successo senza fine

La sua sterminata produzione è caratterizzata da musiche scritte per lei da grandi autori, ma ciò che l’ha resa inconfondibile è la sua voce. Il suo timbro fanciullesco, sempre divertito e vivace, è quello che il pubblico ha sempre apprezzato nel sentir cantare di mondi fantastici e di eroi. Inoltre il suo saper riproporre versioni più moderne del suo repertorio, oltre alle nuove sigle che le vengono affidate, la rende sempre attuale e ancora di successo.

Le cantiamo proprio tutti

È impossibile ricordare tutti gli interpreti ma alcuni di questi eroi delle sigle televisive si esibiscono ancora nelle varie convention a tema (Lucca Comics, Romics) e in molti concerti live. 

Picture © Elena Paoletta – Foto scattate durante l’edizione 2019 del Romics, la famosa fiera di Roma dedicata al mondo del fumetto.

Lì le generazioni cresciute davanti alla TV a pane e anime e che oggi hanno tra i trenta e i quaranta anni, magari in compagnia dei propri figli, possono cantare a squarciagola le sigle TV che fanno ormai parte della colonna sonora della loro vita

Vi assicuro che è molto emozionante assistere ad un concerto di questi interpreti. Si ritrova la fanciullezza, la spensieratezza e l’allegria che si provavano da bambini e ci si sente parte di un gruppo che non ha età ma solo tanto amore per gli anime.

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