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Akira: lo sconvolgente manga di Katsuhiro Ōtomo

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Recensire Akira in modo dettagliato è un’impresa che ha dell’impossibile, ma è ampiamente più semplice descrivere la palese rivoluzione che questo manga, durato 8 anni (’82 – ’90), ha operato su più fronti, cambiando il panorama pop per sempre.

Un’opera illuminante pregna di un avveneristico pessimismo che funge da spartiacque tra due generazione di mangaka ma che allo stesso tempo è densa di riferimenti ed ispirazioni. In questo articolo ci addentreremo nel manga di Katsuhiro Otomo osservando tutti i cambiamenti che, con una vera e propria detonazione, ha apportato alla storia del fumetto mondiale.

Il 6 dicembre 1982 Tokyo viene distrutta da un’enorme deflagrazione, ha inizio la Terza Guerra Mondiale. 37 anni più tardi, un gruppo di mototeppisti si diverte a scorrazzare tra le rovine di Neo-Tokyo. La situazione inizia ad acuirsi quando uno di loro verrà prelevato dal governo e sarà costretto a subire interventi terribili. Una storia dal lato mistico e sanguinoso, intrisa di protesta sociale e amicizia…

Le opere che hanno influenzato Akira

Akira fu un progetto meticoloso e di difficile composizione. Katsuhiro Otomo, mangaka già affermato all’epoca, aveva in mente un quadro di totale distruzione e ristrutturazione di alcuni dei generi più fruiti del manga. Sovente, infatti, l’artista riporta nelle interviste rilasciate che “per attuare un piano concreto non si può non distruggere nulla prima“.

Fireball (1979)

Convenzionalmente si ritene che l’opera che più d tutte contribuì alla creazione di Akira fu Fireball. Opera di Katsuhiro Otomo pubblicata sul Manga Action di Futabasha nel 1979, che precorse moltissime caratteristiche generali dello stile dell’autore.

In realtà, di quest’opera di 50 pagine, Otomo si stancò una volta steso l’inchiostro per la ventesima. Non fu mai un progetto accolto a braccia aperte e per questo mai davvero concluso. Nonostante ciò, dalle pochissime pagine, emergono numerose scelte stilistiche che caratterizzano tutt’ora i prospetti del mangaka.

Un tratto senza sbavature, assolutamente anatomico e pulito, intriso in un mondo fantascientifico e, quasi, onirico, che estasiò la maggior parte dei lettori. Non furono solo la bravura e la maestria di Otomo nel realizzare volti e corpi realistici al massimo a colpire i lettori, ma soprattutto l’ambiente circostante. Il pubblico elogiò moltissimo la capacità di Otomo di far immergere chi legge in un mondo futuristico mai visto prima. Da esper con capacità psico-percettive a complessi archittetonici mastodontici. Un modo di rappresentare il manga mai visto prima.

Seppur identica ad Akira, l’opera fu fin da subito accantonata da Otomo e questo è uno dei motivi per cui non apparve più su nessuna rivista ed è tutt’oggi difficilmente reperibile.

Come si presentava una delle prime pagine di Fireball (1979). Il chiaro richiamo a Mano con sfera riflettente di M.C. Escher fa immediatamente intendere le atipiche intenzioni di Otomo.

Domu – Sogni di bambini (1982)

Graziato dalla fama di Fireball, tant’è che il progetto così come altri suoi racconti antecendenti ad esso ricevettero un elogio su più volumi dal PAFU, Otomo continuò sulla via del successo grazie a Domu, del 1980.

Pubblicato in formato tankobon soltanto nel 1982, qualche mese prima di Akira, anche Domu forma un perfetto connubio tra gli arrangiamenti che appariranno in Akira. Una lotta tra il vecchio Cho ed Etsuko (ispirata al lavoro di Shotaro Ishinomori: Sarutobi Et-chan), due sensitivi con spettacolari poteri psichici che si combattano in uno scenario futuristico e claustrofobico. I personaggi acquistano uno spessore psicologico maggiore e i giganteschi grattacieli delle case popolari assumono un significato critico.

Pensandoci bene, credo che mi piacciano molto i posti che pullulano di umanità proprio perché mancano di artificialità. Quando lavoravo per Akira, ero solito visitare un magazzino sulla baia di Tokyo: era pieno di pareti crepate da cui fuoriuscivano un sacco di tubi arrugginiti. Spettacolare. Tokyo stessa sembra disatrata, completamente priva di artificialità. Vicino ad una struttura tradizionale giapponese potresti benissimo trovare una villa dalle tinte spagnoleggianti. Molti dicono sia brutta come cosa, ma io la ritengo incredibile.

Katsuhiro Otomo, intervista per la Dark Horse Comics presente sul tankobon di Domu

Due “bambini” che giocano in un mondo progressista e imbevuto di nichilismo. In Domu, inoltre, si accentua il messaggio più complesso ed enigmatico del finale, che vede il tutto come una folle danza onirica. Una complessità rivoluzionaria che risalterà in modo più evidente in Akira.

L’opera si è aggiudicata il Nihon SF Taisho Award nel 1983 (Science Fiction Gran Prix Award).

L’influenza di Domu fu talmente prorompente che si instaurò subito un progetto cinematografico, che mai vide la luce. Forse a causa dell’imminente ascesa di Akira. L’unico superstite del progetto fu un LP realizzato da Kazuhiko Izu con alcune tracce stupende. L’immagine qui sopra è la cover dell’inebriante LP superstite.

Tetsujin 28-go e mille altre ispirazioni fantascientifiche nipponiche

Come ogni artista, Katsuhiro Otomo è stato un grandissimo fruitore dell’arte sin da ragazzino. È innegabile come, per i ragazzi di quegli anni, le più grandi influenze siano provenute proprio da mangaka leggendari come i Fujiko Fujio e Yoshihiro Tatsumi. All’epoca i lettori più giovani divoravano volumi di Doraemon e Astro Boy, mentre ai più “adulti” spettavano le letture esistenziali del gekiga.

Katsuhiro Otomo venne colpito soprattutto dalle influenze fantascientifiche presenti in manga come Astro Boy di Osamu Tezuka, Tetsujin 28-go di Mitsuteru Yokoyamu e dai tokusatsu di Shotaro Ishinomori.

L’autore ha sempre sottolineato il legame con il passato, solo grazie alle geniali menti degli autori succitati ha potuto dar vita a mondi sconfinati mai visitati prima. In quegli anni l’apporto futuristico del manga si faceva sempre più marcato, mangaka come Go Nagai e Leiji Matsumoto si affacciarono per la prima volta nel mercato del fumetto giapponese apportando vaste modifiche.

Anche l’Occidente ha influito sulla creazione del mito

Oltre che essere un divoratore di fumetti, Otomo è sempre stato un grandissimo appassionato di libri e, soprattutto, di cinema. Le sue giornate volavano tra una pagina di Tetsujin 28-go e l’altra e il solito film serale. L’autore venne colpito soprattutto dal nuovo linguaggio postmoderno del cinema, dove il progresso incontrollato divorava ogni cosa. Saghe come Star Wars e Blade Runner lo fecero crescere moltissimo come artista. Come Osamu Tezuka, venne ispirato dal grandissimo capolavoro di Fritz Lang, Metropolis. Infine, non manca l’omaggio più volte richiamato a film come Bonnie and Clyde e Easy Rider.

Nelle letteratura si stava sempre più affermando la New Wave, una corrente della fantascienza che mirava all’analisi degli aspetti più profondi del futuro e dell’uomo del futuro. Dopo assidue letture di George Orwell, H.G Wells e Ray Bradbury, Otomo decise di cercare una fantascienza più abissale. Ecco che opere come L’uomo disintegrato di Alfred Bester e Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick cambiarono irreversibilmente il modo di concepire il futuro di Otomo.

Tre menzioni d’onore vanno ad altri tre grandi artisti.

  • Seishi Yokomizo, che ha contribuito all’espansione del genere fantascientifico in Giappone. Ha aiutato moltissimo l’estro di Otomo, che da lui ha capito il vero significato in una “nuova razza umana” cristallizzata in un futuro più o meno prossimo;
  • Jean Giraud, alias Moebius: forse il più influente artista della bande dessinée. Sotto il punto di vista stilistico fu una vera e propria rivelazione per gli occhi di Otomo. Quest’ultimo, grazie ai disegni del francese, capì come dare forma ad un universo fantascientifico più analitico ed ergonomico.
  • Maurits Cornelis Escher: famoso artista rinomato, soprattutto, per le sue tipiche illustrazioni “impossibili”. Il disegno di Otomo mirava ad essere come quello di questo poliedrico artista: complesso e da grattacapo ma pulito e concreto.
Moebius, con il suo tratto nitido e i suoi reami surreali, è senza ombra di dubbio uno dei più grandi fumettisti di sempre. L’artista francese regalerà questa bellissima tavola raffigurante Tetsuo ad Otomo, da sempre suo instancabile ammiratore.

5 lettere rosso sangue – e poi la rivoluzione

La quiete prima della tempesta…

È il 16 dicembre del 1982 quando comparvero quelle fulminanti cinque lettere rosso sangue, rosso passione – Akira -, il titolo del nuovo manga di Katsuhiro Otomo era questo, molto semplice ma intriso di significato.

Vi sono alcune esperienze pregresse da analizzare, prima di studiare la vera e propria rivoluzione che rappresentò questo capolavoro. Katsuhiro Otomo era già rinomato come autore geniale e rivoluzionario, caratterizzato da una lucidità innovativa ed un estro avanzato.

La dichiarazione di Naoki Urasawa

• Lo stesso Naoki Urasawa, autore apprezzatissimo a livello mondiale, in un’intervista ha dichiarato che, ad un certo punto della sua carriera, Otomo, molto stimato dall’autore di Monster, decise di far cambiare la misura di alcuni suoi volumi, perché di formato troppo compatto. Questo mutamento dal formato B6 all’A5 rivoluzionò complemente il modo di produzione del manga: in poco tempo, e dappertutto, cambiarono scaffali per sopperire alla misura più grande e vennero pubblicati sempre più manga di quella prestabilita grandezza.

La fama di Katsuhiro Otomo, tra New Wave e Young Magazine

• L’eco dell’arte di Otomo era risuonata da alcuni anni. Lo stile dell’artista era divenuto unico ed inconfondibile, talché venne riconosciuto come uno dei più talentuosi artisti in circolazione. Da sempre abile a disegnare corpi in movimento e con una determinata compostezza anatomica, Otomo iniziò a sperimentare in modo ossessionato l’immissione di innesti meccanici ed elementi futuristici nelle sue tavole. Da qui il suo rapporto di ricerca conflittuale con la fama. Aderendo al movimento New Wave e proponendo scenari non ancora apprezzati dalla maggioranza dei lettori, Otomo riuscì comunque a trovare l’approvazione dei più giovani e degli editori più intrapendenti.

Sono proprio questi gli anni, la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80, in cui Otomo si ingrazia alcune testate editoriali e trova il successo. Quello che doveva essere il progetto Akira, infatti, era un’azione finanziata da Kodansha che doveva partire dal 1980. Otomo si prese tutto il suo tempo, dedicato poi alla creazione dei prototipi di questo futuro progetto.

Più si avvicinava Akira, più elementi New Wave rientravano nei canoni dell’artista di Hasama. Questo progetto futuro doveva prevedere la creazione di 10 capitoli per introdurre ai lettori la nuova rivista Young Magazine. Poche pagine di uno degli artisti più prolifici del periodo per spiegare ai novizi della New Wave quale sarebbe stata la corrente del futuro. Ovviamente i piani non andarano come previsto.

Questa che vedete è l’illustrazione per la copertina di Young Magazine, il numero 24 del 20 dicembre 1982, la prima testate su cui apparve Akira. Otomo si espresse così sulla tavola che realizzò: “Disegnai il personaggio con un tratto dolce. Chi potrebbe essere questo adolescente? Quando ebbi finito non ero per nulla soddisfatto dei colori, perché avevo applicato una pellicola grigia sull’immagine. Al momento di realizzare la copertina, ne ricavai un mosaico.”

Perché Akira?

Come sono riuscito a concepire Akira è una storia molto lunga. Ho detto all’editore che stavo facendo una storia di fantascienza. L’editore si oppose, ma alla fine diede il consenso al mio lavoro. Questo ebbe una buona risposta. Quando ho fatto Fire Ball mi hanno dato 50 pagine. 50 pagine erano tutt’altro che sufficienti . Volevo raccontare quella storia nel modo giusto, quella storia divenne Akira.

Katsuhiro Otomo durante l’intervista con Supreme nel 2017

Attraverso Akira Katsuhiro Otomo si preparava ad affrontare un’opera di commistione di generi diversi e di tematiche differenti. Akira doveva inizialmente rappresentare uno sfogo contro la società corrotta del secondo dopoguerra giapponese, contro perversi titolari di poteri obsoleti; un grido contro la droga e contro gli arrampicatori sociali.

Le tematiche dovevano essere pressate solidamente nella trama ma dovevano essere mascherate attraverso le travolgenti avventure di un gruppo di mototeppisti speranzosi e dalle volontà incandescenti. La narrazione e le illustrazioni, con tutti i loro artifici, dovevano incanalare le profondissime tematiche sociali e psicologiche nelle movimentate vicende e le dinamiche pagine. Proprio come la corrente della New Wave fantascientifica dettava. Si può dire che l’intenzione di Otomo nella realizzazione di Akira era di rappresentare il paradigma perfetto, cristallizzato e coeso del canone della New Wave.

Ma perché questo titolo? Katsuhiro Otomo si rivela ancora una volta geniale pure nella sua semplicità, come più volte ha manifestato. Mentre, tutto assorto, lavorava al montaggio del corto animato Jiyuu wa warerani, l’artista, durante determinate parti del giorno, iniziava a sentire urlare ripetutament il nome Akira dallo studio vicino (probabilmente un aiuto regista aveva quel nome). C’è, inoltre, da ricordare la volontà di Otomo di far scaturire da quel nome il ricordo di uno dei più grandi registi di sempre, Akira Kurosawa.

Due dei più grandi registi giapponesi a confronto: Katsuhiro Otomo e Akira Kurosawa si incontrano in un’intervista sull’ottavo numero di Mister Magazine. Una chiacchierata tra due artisti di due generazioni differenti, riguardo ai più disparati temi: cinema, musica e politica.

Il vento di Akira soffia impetuoso

Distruggere fa parte del processo creativo

L’avviamento di Akira, come già detto, non è stata cosa semplice. Otomo, prima di arrivare ad inchiostrare l’agognata opera, dovette evolvere la stabilità della sua narrazione ed adoperarsi per una sperimentazione tecnica costante.

La cosa che sicuramente colpisce di più è come quest’opera rappresenti una perfetta e bilanciata commistione di generi e di lavori antecedenti ad essa. Otomo riversò nel suo manga un mucchio di citazioni ai fumetti che leggeva da adolescente e a film a cui era appassionato. Tutto ciò fu analizzato meticolosamente, sviscerato e snocciolato, fino a creare qualcosa di unico.

Non è un caso che la prefazione che anticipa il primo volume dell’opera e che doveva avviare la carriera di Young Magazine, sia un mix condensato di influenze passate e contemporanee ad Otomo. L’autore rivela i canoni su cui fece affidamento, e, spesso, essi coincidono proprio con titoli di opere da lui divorate anni prima. Vengono chiaramenti riportati quei “raggi di sole” che irradiarono le sue giornate e il suo estro e che, al momento della stesura di Akira, vengono omaggiati benevolmente. Da Osamu Tezuka a Shotaro Ishinomori, passando per i più disparati mecha e gekiga.

Si può chiaramente vedere l’operazione di un esperto dietro questo manga. Di un lettore di fumetti ossessionato e di un minuzioso fumettista. Otomo ha abbracciato tutta la cultura manga dai ’50, l’ha legata insieme e l’ha completamente destrutturata. Soltanto da questo processo di distruzione e ricostruzione è potuto nascere un simbolo destinato a durare in eterno.

Una rivoluzione narrativa: il cyberpunk

Come afferma Paul Gravett, “Akira è cyberpunk ancora prima del cyberpunk“. Dal connubio di più generi diversi, dall’unione della maturità nichilista del gekiga al tecnologico mondo della New Wave, Otomo ha potuto letteralmente plasmare un nuovo modello letterario: il cyberpunk.

Datare la nascita di un genere non è mai semplice. Per l’opinione comune il cyberpunk è nato da Neuromante, opera scritta da William Gibson nel 1984 (in Giappone arrivata soltanto nel 1985), Akira circolava già da due anni nell’editoria nipponica. Le sistematiche ed usuali 20 pagine bi-settimanali dell’opera iniziarono ad apparire nel 1982 ed, ovviamento, Otomo non era al corrente di Neuromancer. Molto probabilmente non sapeva nemmeno come definire ciò che stava illustrando.

Otomo, nelle sue pagine, non tratta soltanto in modo perfetto il futuro progressista, non eccedendo mai (città super-tecnologiche, piattaforme fluttanti, straordinarie moto avveneristiche), ma tinge le sue pagine di un cupo pessimismo. Susan J. Napier, nel suo Anime, da Akira alla Principessa Mononoke, descrive il nichilismo di Akira come fattore che esplicita il pessimismo presente in vasta misura nelle opere del fantasy giapponese degli anni ’80.

Il cyberpunk, quindi, non è solo manifesta, ma calibrata, presenza di elementi provenienti dal futuro ma anche, e soprattutto, atmosfera torbida ed insicura: un futuro distopico. Otomo rappresenta un futuro che ingloba l’uomo, il quale, però, prova una certa repulsione verso tutto questo progresso, facendolo avvertire come distaccato. L’autore, immancabilmente, inserisce l’inconfondibile componente telecinetica e psicotica, ma andando a parare su un tema molto caro al cyberpunk: le droghe.

Il bar Harukiya. Forse il luogo più squallido e lugubre che si affaccia sulla scena cyberpunk di Akira. Graffiti, rifiuti, teppisti ubriachi: il regno del “nichilismo”. Le parole sui muri rimandano alle porte dell’Inferno dantesco: “Benvenuti al bar HarukiyaSe non volete morire, andatevene!“. Tra l’altro, questo posto torbido è il primo presentato da Otomo agli editori per far capire loro l’atmosfera. Un bar Harukiya esiste davvero e i suoi ramen sono ottimi a detta di Otomo.

Una rivoluzione strutturale, ovvero quando il trip collega mente ed universo

Il cyberpunk porta con sé, quindi, altre due grandissimi innovazioni: la tematica delle droghe e un finale astruso.

Nella storia Tetsuo prende droghe. Diventa così autodistruttivo che perde se stesso. I giovani impazziscono all’improvviso e alla fine si distruggono. Volevo che il manga riguardasse i membri marginali della società. Sono gli estranei della società, quelli che non appartengono ad essa, quelli più intriganti da disegnare. Come abbiamo fatto noi, anche i giovani di oggi devono trovare una strada.

Katsuhiro Otomo durante l’intervista con Supreme nel 2017

L’uso di sostanze allucinogene o di semplici antidolorofici modificati diventa un tema sempre più ricorrente più si sfogliano le pagine. La tipica bocca dai denti cariati o, addirittura sdentata, che ingoia la fantomatica pillola blu e rossa diventa un vero e proprio simbolo. Una pillola in grado di alterare le proprie capacità fisiche, uno strumento minuscolo ed abusato per divenire straordinariamente forti. Nonostante non conosciamo chiaramente la natura di queste pillole, sappiamo che quella di Otomo voleva essere una sferzante denuncia.

Dipingere quei volti deformati nell’atto di assumere vere e proprie sostante nocive, voleva colpire tutti coloro avvinghiati all’uso degli acidi e delle droghe il cui commercio si faceva sempre più frequente.

Proprio l’uso massiccio di queste sostanze porterà al terminale solipsismo distruttivo di Tetsuo, la cui trasformazione ha raffigurato un orribile e scioccante quadro. L’inesorabile distruzione fisica e morale del personaggio porterà alla rappresentazione di uno dei picchi più astrusi e attoniti del manga… fino alla trasformazione.

Una rivoluzione strutturale II, ovvero come amare la bomba

Due furono i caratteri innovativi della trama di Akira: la famosissima bomba che ingloberà tutta Neo-Tokyo nel suo nero pece e il finale surreale e enigmatico.

Entrambi i fattori, così oscuri e misteriosi, riceveranno difformi e molteplici interpretazioni, dalle più filosofiche alle più concrete, passando dall’astrofisica alla critica sociale. I due artifici hanno sicuramente contribuito ad accrescere la fama di Akira, rendendo questo un fumetto dalle tinte nuove e dai concetti sì epifanici ma al contempo del tutto sovversivi.

Riguardo al primo: vi erano già alcuni titoli che mostravano la deflagrazione di una bomba e la conseguente devastazione, basti pensare a Violence Jack e Gen di Hiroshima. In entrambi la bomba è frutto di una penetrante e assidua critica sociale risalente ai fatti del secondo conflitto mondiale.
In Akira la bomba è il fulcro della trama e perde quella contingenza che caratterizzò molti altri manga. Kaneda e i suoi compagni si vedono proiettati verso una Tokyo in macerie. Una città che, per quanto inospitale, annida i buoni presupposti per una rivolta sociale, una protesta giovanile. Proprio attraverso questo escamotage Otomo offre una pesante critica sociale ai “potenti” in generale: che si parli di istituzioni pubbliche o di soggetti individuali.

Per quanto concerne il secondo bisogna premettere che un finale così oscuro e nebbioso non si era mai visto prima. Il mangaka riuscì a far sì che la moltitudine dei lettori rimanesse esterrefatta e sconcertata davanti ad un finale così apparentemente troppo profondo ed eclettico. Il finale di Akira è convezionalmente ricordato come uno dei finali più astrusi della storia della narrativa a fumetti. Le pagine si fanno sempre più bianche e limpide, quasi accecano il lettore, per liquidarsi in un finale impercettebile, inafferrabile e di un prospettivismo disarmante.

Paradossalmente, tutta questa astrattezza sembra derivare da una serata in cui sia Otomo che il suo caro amico nonché fumettista Alejeando Jodorowsky erano alticci. Le due menti geniali ed offuscate dal vino proposero finali sempre più stravaganti per carenza di idee. Da qui Otomo diede origine ad uno dei finali più memorabili che la storia del manga ricordi.

La tavola finale di Akira. “Lo scenario finale vede rappresentata una gloriosa ed immensa megalopoli, in direzione della quale sfrecciano alla loro massima potenza i motociclisti” (Susan Napier, The Fantastic in Modern Japanese Literature: The Subversion of Modernity). L’ultima tavola racchiude tutte le caratteristiche essenziali dell’opera e, nonostante la maestosità, non chiude ermeticamente il finale.
Il finale è un lieto fino o una tragedia? Inizia una nuova avventura o si è concluso irrimediabilmente il viaggio? Il finale è davvero fondamentale? Mille domande a cui, questa tavola in sé, non può rispondere.

Una rivoluzione estetica: una realtà grigia e arrugginita

Provate ad aprire un qualsiasi volume del manga di Akira. La primissima cosa che salta all’occhio è l’accostamento tra data di pubblicazione ed illustrazioni. L’arte di Otomo, per essere uno stile degli anni ’80, era avanzatissima ed elaborata in maniera eclatante.

Questo processo che colpì migliaia e migliaia di ragazzini giapponesi viene descritto bene da Stéphane Beaujean. “Il tratto distintivo di Otomo era il suo formalismo. Un sistema simbolico, un menù di forme e codici che potevano essere combinati“. Ed effettivamente l’artista si adoperò molto a scorgere il lato profondo di ciò che disegnava. L’estetica dei personaggi e i luoghi rappresentati sono spesso molto simili, ma ciò che li rende unici sono le tinte retrospettive che l’autore dona a ciò che disegna.

I volti dei personaggi e, soprattutto, le loro emozioni tangibili, reali. Dei corpi anatomicamente perfetti calibrati perfettamente all’interpretazione psicologica-mentale che Otomo voleva loro donare. Grattacieli e metropoli alti fino al cielo, ma cupi e deprimenti. Un’urbanizzazione malata che avvinghia i protagonisti e li trascina nei suoi spazi claustrofobici, grigi e deprimenti. Ma pur sempre una città viva, crepata e piena di graffiti e allo stesso tempo perfettamente ordinata e cesellata.

Moltissimi altri artisti seguirono quello che fu un vero e proprio spartiacque: una cura insaziabile per i background (a cui lavoravano anche alcuni aiutanti) e un nuovo ritmo mai visto per le pagine inchiostate a dovere. Tutto ciò non sarebbe potuto divenire realtà senza quello studio meticoloso del genga, ovvero lo studio delle key animation. Otomo è divenuto un ottimo animatore e sceneggiatore di cortometraggi prima che un ottimo mangaka.

Una rivoluzione estetica II: una realtà onirica e variopinta

Con il lavoro di Otomo si è davanti ad una composizione opera di un esperto. Una commistione degli stili più variegati ed amati di quel periodo, dal presupposto tratto semplice di Tezuka ad un tipo di arte più complessa come quella di Matsumoto.

Senza ombra di dubbio, l’arte del maestro trovò una repetina deviazione subito dopo la conoscenza di uno dei fumettisti più talentuosi di sempre: Jean Giraud, in arte Moebius. Lo stile di Moebius è uno stile simbolico, che fa del surrealismo sua arte focale, e che porta il lettore in una realtà parallela variopinta e fantasiosa.

L’arte di Otomo fa dello stile di Moebius il suo riflesso ispiratore più gradito. Son palesi le analogie tra le tavole del primo e le illustrazioni del secondo. Questo tipo di rappresentazione non era mai stato recepito prima dai giapponesi. Il tratto ispirerà moltissimi altri artisti che nelle loro giovinezze, vedendolo per la prima volta, rimasero sorprendentemente stupiti.

Naoki Urasawa, a proposito, scrive: “Fire-Ball è stato il nostro “La nuova isola del tesoro” (il cosiddetto primo manga, dalla penna di Osamu Tezuka). Nello stesso modo in cui Fujiko Fujio, gli autori di Doraemon, e Shotaro Ishinomori, l’autore di “Cyborg 009”, hanno iniziato a disegnare sotto ispirazione di quell’opera, noi abbiamo iniziato sotto ispirazione di Fire-Ball. Otomo stava forgiando un nuovo modo di disegnare e concepire il manga: è stato il precursore della nuova scena manga“.

Una rivoluzione formale: prospettiva e dinamismo

Come possiamo immaginare, un’operazione così ampia ed importante ha implicato un duro lavoro. Più volte Otomo ha espresso, in alcune interviste, quanto fosse duro ma appagante lavorare ad un manga del genere.

Il mio metodo consisteva nel disegnare nel modo più istantaneo possibile la prima pagina, senza schizzi preparatori. Il lavoro, poi, si dipanava tra me e i miei assistenti: dai background alle decorazioni. Finivo le vignette due giorni prima. Dopo mezza giornata finivo i dettagli dei personaggi e degli edifici: da domenica alle 5 del mattino fino alle 19:00. Consegnavo, infine, le tavole il lunedì alle 8:00.

Katsuhiro Otomo sulla preparazione di Akira

Otomo è sempre stato riconosciuto come uno degli autori più meticolosi nel mondo del manga. L’autore ha dovuto curare fino al dettaglio più minuzioso le sue tavole. Prospettiva, impostazione delle tavole, background e molto altro furono all’attenzione del mangaka. Un riconoscimento che spesso si accosta ad Otomo è proprio la capacità di saper gestire nei minimi particolari la prospettiva. In Akira le vignette hanno tutte una propria vita, dai cambi repentini di inquadratura al dinamismo ben raffigurato. Questa maestria non può che derivare dal passato da animatore e da regista dell’autore.

Una prospettiva giusta impreziosiva in maniera esponenziale il dinamismo della vignetta: dinamismo che Otomo ha considerato più volte astruso e impervio. Nonostante il passato sostenuto dalle capacità di montaggio e dal costante progresso stilistico, Otomo non ha mai amato le tavole dinamiche.
Perché? Risse e inseguimenti, sì presenti ma non in maniera esagerata, avevano bisogno di una cura di fondo eccezionale. Bisogna studiare anatomicamente i soggetti, le loro posizioni statiche e i loro movimenti: dove sarebbe finito il pugno sferrato e dove sarebbe caduto il malcapitato sono tipici esempi.

Questa tavola si trova all’interno di una delle sequenze più iconiche di Akira, lo scontro iniziale tra i mototeppisti capeggiati da Kaneda e la banda dei Clown. Un adrenalinico scontro tra centauri in una Tokyo la cui desolazione è quasi surreale. Akira, fin dalle prime scene, sembra essere un manga movimentato e catastrofico.

Una rivoluzione formale II: il problema dei tankōbon

Una fatica enorme è stata, soprattutto, quella di gestire i tankōbon. La lavorazione dei volumi non è mai stata così semplice rispetto a come tende ad apparire. All’inizio, infatti, Otomo, dopo aver realizzato una lista di capitoli, non risultò ancora pronto per l’uscita stabilita del volume. L’autore dovette farsi carico di un lavoro usurante: non solo perfezionare la prospettiva e i background di alcune tavole pubblicate su Young Magazine, ma ricomporre totalmente alcune tavole.

Infatti, sul tankōbon la prima pagina inserita sulla rivista viene rimossa e ciò comporta un cambio irrimediabile a tutta l’impaginazione. Insomma, Otomo, spesso, doveva rielaborare alcune parti del suo lavoro già sofferte in passato. Infatti, l’arrivo del primo volume, uscito il 21 settembre del 1984, richiese tempo e dedizione. Dopo tutto quel lavorio, Otomo colpì la scena con un vistoso quanto imprevisto colpo di scena: un volume completamente giallo. Un giallo acceso che non frequentemente invadeva gli scaffali delle librerie.

Più si scrive, più il finale inizialmente idealizzato diventa sempre più differente. Mi succede spesso: scrivo un copione, ma la realtà dei fatti, nel tankōbon, finisce sempre per essere diversa

Intervista a Katsuhiro Otomo, presente nel primo Laser Disc dedicato ad Akira (1993) a nome di Pioneer LDC

Più si procedeva più la mole di lavoro diveniva pressante ma gestita in maniera più funzionale: non si incorreva più in sbagli passati e si cercava una meticolosa evoluzione. Movimentate ed incredibili furono anche le gesta per decidere l’esposizione del titolo. Quale font? Quale grandezza? Dopo un processo durato diversi mesi si scelse un Impact tagliato all’estremità superiore, per poi addurci davanti i kanji limpidamente trascritti dal maestro Hiroshi Hirata, un grande mangaka a cui Otomo offrì aiuto dopo Akira.

Da questi semplici ma estenuanti avvenimenti si può percepire la cura e la minuzia di un autore così tanto legato alle sue composizioni come Katsuhiro Otomo.

Queste erano le costine dell’edizone Deluxe di Akira. Anche in questo caso, la scelta dei colori non è assolutamente indifferente ma anzi segue ad uno studio puntale sulla copertina e i vari accostamenti e le gradazioni di colore. Akira ha avuto moltissime edizioni, ma molto probabilmente questa qui sopra è la più iconica.

Il ricordo di Akira vive nei nostri cuori!

L’enorme influenza di Akira sulla cultura pop

Akira fu molto probabilmente il primo manga a divenire un fenomeno virale di portata mondiale, dal manga dell’82 alla consacrazione con il film dell’88. Da quel momento iniziò ad influenzare vite di futuri artisti i cui contributi si possono contemplare in diversi settori della produzione artistica. Il genio di Otomo è riuscito ad accrescere, così, l’estro di molti creatori di contenuti ed ad ispirare quest’ultimi mostrando loro nuovi scenari e nuove prospettive.

Seppur è l’anime che abbia fatto scoppiare la scintilla di questa rivoluzione, il manga ispirò gli artisti che più si appassionarono alla rapida ascesa di questo fenomeno così esotico ed innovativo. Una peculiarità di questo manga è proprio la capacità di introdurre il lettore in un mondo totalmente nuovo, una realtà che si avvale di un’ottica ridefinita: dopo la lettura di Akira si vedranno citazioni e rivisitazioni in moltissime opere della cultura pop; dagli anni ’80, l’utilizzo di questo soggetto è stato usato in vastissimi modi. Ed è proprio grazie a questi che adesso perdura, si fa sentire e tarda ad affievolirsi.

Il contributo al manga I: da Ghost in the Shell ad Alita, il cyberpunk post-Akira

Appare assodato come Akira, con l’apporto del suo nuovo genere del cyberpunk, abbia ispirato moltissimi autori successivi. Il progetto futuristico ed estremamente disincantato interpretato da Katsuhiro Otomo vede astrarsi nelle menti di mille altri mangaka.

Il parente più stretto del fenomeno Akira è senza ombra di dubbio Ghost in the Shell di Masamune Shirow (autore del già lungimirante Appleseed). Pubblicato mentre il manga di Otomo era alle battute finali, sempre su Young Magazine, Ghost in the Shell recupera i capisaldi del genere cyberpunk e proietta le azioni in un futuro ancora più remoto e pressante. Il manga riesce a spaziare ancora di più rispetto ad alcune tematiche: il controllo mentale, caro a Neuromancer, telepatia, robotica ed esistenzialismo. Masamune riesce, attraverso le azioni dell’eroina Motoko Kusanagi, ad immergersi in un rigoglioso ambiente filosofico, che andrà a vagliare i reami più remoti dell’identità e della giustizia.

Anche Ghost in the Shell inizierà a rappresentare un fenomeno di culto nel panorama nipponico e non, venendo ripreso da artisti talentuosi come Mamoru Oshii. Altri influssi rilevanti traspaiono sicuramente in Gunnm (Battle Angel Alita), il manga ispirazionale di Yukito Kishiro. Alita è un carico pregno di azione (tra Panzer Kunst ad armi futuristiche), digressioni su un passato degradante e un futuro pericolante e deserto e riflessioni antropologiche. Lo schema di Ghost in the Shell sembra ripetersi con succeso: cyborg senza memoria sono contenitori di illazioni filosofiche abissali.

Il contributo al manga II: da Neon Genesis Evengelion al cripticismo ermetico contemporaneo

Durante gli anni ’90, l’influenza di Akira si è inserita strutturalmente nel mondo del manga, ma anche in realtà molto più occidentali, e in molti hanno attinto all’opera per toccare nuovi traguardi.

Nei turbolenti anni ’90, nel dirompente mondo dell’animazione si è assistito al fenomeno mondiale erede di Akira: Neon Genesis Evangelion. Hideaki Anno ha creato un melting pot di filosofia, spaziando da Emil Cioran ad Arthur Schopenhauer, di folklore, con i caratteristici oni, e, ovviamenti, di rifacimenti ad un mondo futuro. Quello che colpisce è la cripticità degli ultimi episodi (senza dimenticare The End of Evangelion), assimilabile a quella che caratterizza il finale di Akira. Da qui, i finali più assurdi inizieranno a prendere forme sempre più varie.

Durante questi anni abbiamo l’avvento di Hiroki Endo con Eden – It’s an Endless World, un misto di influenze, tra Akira e The Legend of Mother Sarah, e anche questo improntato ad una triste realtà configurata in un polveroso futuro. Nei primi 2000, i finali apparentemente irrazionali e brutalmente enigmatici si diramano. Questi presetano sempre più profonde ed articolate argomentazioni filosofiche e panorami sempre più sporchi ed arrugginiti: da Ergo Proxy a Texhnolyze, passando per Serial Experiments Lain, Levius e Cowboy Bebop.

Da annoverare sono i lavori intricati e quanto più cupi di un grande successore di Otomo, Tsutomu Nihei. Le sue tavole straordinarie e i concetti astratti che gravitano attorno ad esse hanno preso ispirazione dal lavoro di Otomo. Biomega, Knights of Sidonia, Abara e il più fortunato Blame! trattano tematiche esistenziali in un modo nuovo e astruso, quasi inafferrabile, come fumo nero.

Una tavole di Eden – It’s an Endless World!, di Hiroki Endo.
Sarebbe opportuno soffermarsi più a lungo su questo titolo rispetto ai capisaldi convenzionali come Neon Genesis Evangelion o Cowboy Bebop. Questa perla è sempre passata in sordina, seppur rappresenti la più riuscita commistione del cyberpunk anni ’90: tra Ghost in the Shell e Akira.
Endo realizza un manga ispirato a vecchi canoni ma riscopre un nuovo modo di comunicarli: Eden è un manga fuori dal comune per la sua completezza e bellezza, ma, molto probabilmete, non (ancora) riconosciuto sufficientemente.

Akira come archetipo cinematografico: da Tetsuo a Satoshi Kon

Il manga di Akira ha un avuto un impatto decisivo anche sulla storia del cinema. Il film dell”88 divenne in pochissimo tempo una colonna portante dell’animazione mondiale. Il paradigma di Akira introdusse nuovi concetti che verranno presto ripresi: le sequenze dinamiche in moto, l’uso magistrale delle luci e l’ambientazione resa alla perfezione. Frammenti come il “bike slidedi Kaneda e la locandina, minimale quanto efficace, verranno ripresi da una moltitudine numerosa di adattamenti.

Il sostrato essenziale di Akira – la trama originaria del manga -, però, si è rivelata un tassello insostituibile per molti registi, che hanno cercato di adattare la storia seguendo dei canoni personali.
Un esempio (non accertato) è quello di Tetsuo: The Iron Man di Shinya Tsukamoto, del 1989. Il film, oltra a riportare nel titolo il nome di Tetsuo, coprotagonista di Akira, si ispira all’opera di Otomo soprattutto nella parte mediana e finale della pellicola. La storia gira attorno ad un feticista che prova un morboso piacere ad applicare sul suo corpo alcuni innesti meccanici. Più si spingerà verso la conclusione, più l’opera si affaccia sull’orrore dalle tinte kafkiane e cruente: che essa sia un tributo alla trasformazione di Tetsuo?

La presenza, sia fisica che spirituale, è accertata nel caso dei film del maestro Satoshi Kon così come trova omaggio in pellicole come Dark City di Alex Proyas, del 1998 oppure Chronicle di Josh Trank, 2012. I riferimenti ad Akira sono sempre molto sottili, ma si riescono a scorgere chiaramente.

Iniziai a pensare che Akira non era soltanto un grande film – poteva essere un “fenomeno”. C’erano altri film del genere in Giappone? Se è così, possiamo paragonari ai Def Jam in musica: un genere tutto per sè.

Andy Frain, produttore esecutivo di Ghost in the Shell

Nel caso del genio di Satoshi Kon, invece, Otomo è sempre rimasto dietro a tutte le perle che il maestro ha sfornato: da Paprika a Perfect Blue. Satoshi Kon porterà sempre nel cuore l’esperienza di formazione e l’amicizia con il papà di Akira. L’adattamento e la messa a punto di quest’ultimo vedrà tra i moltissimi nomi che figurano nell’Akira Committee proprio Kon.

Piccola parentesi dedicata a Satoshi Kon, uno dei creatori più influenti degli ultimi anni e compianto amico di Otomo. I due geni hanno collaborato diverse volte, non solo con Akira, ma anche con Roujin Z e, soprattutto, con World Apartment Horror. Quest’ultima unisci i fantastici disegni di Kon con le trame surreali di Otomo.

Il caso di Stranger Things: Akira alla ribalta

L’influenza di Otomo ha colpito anche Matt e Ross Duffer, i due ideatori del grandissimo successo Stranger Things. La serie, divenuta una delle più acclamate e discussa della storia, si ispira palesemente alle avventure narrate dal manga.

La serie di Netflix, infatti, andando a citare in maniera così dettagliata il lavoro di Otomo (e anche Elfen Lied, altra ispirazione dei due fratelli), ha sicuramente contribuito ad estendere la conoscenza sul manga e sul film di Otomo. Guardando Stranger Things è impossibile non pensare ad Akira.

I fratelli Duffer adattano in maniera particolare ma perfetta il loro punto di riferimento. Mike, Will, Lucas e Dustin e le loro biciclette non sono nient’altro che la banda di Kaneda, Tetsuo, Yamagata, Keisuke e gli altri e le loro motociclette futuristiche. I viaggi dall’atmosfere deliziosamente anni ’80 non sono l’unico riferimento.

Il personaggio di Undici è un chiarissimo riferimento a Tetsuo e in entrambi scorre una forte critica che si avvale di un profilo storico (tra il dominio delle nazione e i potenti e l’esperimento MK-ULTRA) e sociale, quale la ribellione adolescenziale all’opprimente sistema costrittivo. La protagonista ha gli stessi poteri psionici di Tetsuo e i vari esperimenti e l’habitat che deve soffrire ricordano molto l’esperienza di Tetsuo. Inoltre, lo stesso numero marchiato sul corpo di Undici, lo 011 appunto, è un richiamo al marchio dei sottoposti del governo (dal 28 di Akira, che richiama proprio Tetsujin 28-go, al 41 di Tetsuo).

Altro show che ha iniziato a citare sempre più frequentemente Akira è senza dubbio Rick & Morty, da citazioni velate ad interi episodi legati al manga.

Akira e il mondo della moda: l’accordo con SUPREME

L’impatto di Akira è giunto a conquistare persino palchi imprevisti, come quello della musica e quello della moda. Forse il mondo della musica è uno di quelli che è stato più coinvolto sotto l’emisfero di influenza del manga. Artisti come Michael Jackson e i Daft Punk hanno sempre elogiato l’opera, inserendola addirittura in alcuni loro video musicali.

Probabilmente, però, l’artista che più di tutti è stato colpito dall’impulso dell’opera di Otomo è Kanye West. Più volte, infatti, il rapper ha dichiarato Akira come il film d’animazione più completo di sempre. “Questo film è la mia più grande ispirazione creativa” così ha ripetutamente espresso il cantante sul suo Twitter.

L’accesa rivendicazione dei diritti della gang di mototeppisti e una trama enigmatica hanno ispirato moltissimi altri cantanti, soprattutto nel mondo del rap, come Logic e Travis Scott. Forse è proprio questo uno dei fattori costitutivi dell’unione, avvenuta nel 2017, tra Akira e SUPREME. Il brand di streetwear ha iniziato a collaborare con il maestro Katsuhiro Otomo per la creazione di capi Fall/Winter con a tema le tavole più evocative del suo manga.

Dalla collaborazione è nata una collezione d’abbligliamento che ridistribuisce al pubblico, la cui maggior parte ignara del fenomeno Akira, il valore di quest’opera. Un traguardo in un settore non troppo coeso a quello dell’editoria che rende giustizia ad una delle opere più incisive degli ultimi 40 anni.

Dicono di Akira

Steve Oliff

Un’altra caratteristica peculiare di Akira è quella che lo vede come uno dei primissimi manga adattati integralmente a colori. Mesi dopo la sua conclusione in Giappone, lo scoppio nel mondo era ancora tonante. La rivoluzione estetica del manga tramortì gli Stati Uniti, rimasti colpiti da come un autore nipponico potesse avvicinarsi così tanto e persino superare il tratto di alcuni dei più grandi fumettisti di comics. Passò immediatamente l’idea di rendere l’opera a colori.

Il lavoro fu affidato a Steve Oliff, un colorista della Marvel, che nell’87 deteneva i diritti di Akira per conto di Epic Comics. Oliff fu libero di colorare l’opera a piacimento, dal momento che né Otomo né il suo editore, Yuri-san, diedero specifiche direttive. Oliff curò in modo eccellente il lavoro, apportando i colori ad una versione del manga ribaltata all’occidentale ed usufruendo di una tecnica mai utilizzata prima. Akira è stato il prototipo di un innovativo quanto fortunato azzardo: la colorazione al computer. Questa versione ebbe una fama enorme: anche in Italia, attraverso Glénat, arrivò il manga a colori.

Akira non era solo un manga con una storia molto interessante e disegni sbalorditivi, una volta colorato, apparì come mai apparse prima, con una forma che mai ci saremmo potuti aspettare. Per questo Akira ha cambiato la storia del fumetto.

Steve Oliff
Ecco come doveva apparire il lavoro di Oliff. Questo è solo un assaggio del meticoloso lavoro che si nasconde dietro la colorazione di Akira.

Osamu Tezuka

Le voci sul rapporto tra Katsuhiro Otomo ed Osamu Tezuka sono circondate di aneddoti ambigui e ricordi fumosi. Il “Dio dei Manga“, per quanto idoltrato e mitizzato, ha dimostrato spesso attimi di impulsività e un carattere scontroso. Sembra, infatti, che non accettasse di buon grado il fenomeno appena stabilizzatosi della New Wave. Naoki Urasawa ci riporta che, diverse volte, Tezuka criticò in modo fin troppo immaturo il lavoro di Otomo.

Il giovane talentuoso, agli occhi del veterano affermato, appariva come un potenziale nemico. Questo fa onore al tratto e all’estro di Katsuhiro Otomo, ma emerge un lato acidamente invidioso che si tende a lasciar nascosto di Osamu Tezuka. Il mangaka di Akira prese il posto di nemesi del papà di Astro Boy dopo la morte dello suo storico rivale, Eiichi Fukui, e dopo mangaka del gekiga come Takao Saito.

Sicuramente i giovani aspiranti mangaka della New Wave daranno vita ad opere originali – ma, riguardo Otomo, soffermo il mio giudizio per i prossimi 10 anni. Riuscirei anche io a fare i disegni riprodotti in Akira.

Osamu Tezuka
Metropolis è, molto probabilmente, il progetto che più lega i due autori. Fantastico manga di Osamu Tezuka, ispirato dal visionario Metropolis di Fritz Lang, poi adattato in film d’animazione prodotto dallo stesso Otomo.

Naoki Urasawa

Per Urasawa, Otomo è un esempio da seguire, una cornice stabilizzante da contemplare, un impulso vitale verso l’arte del disegno. Akira, ma non solo, influenzarono moltissimo la coscienza del giovane, futuro mangaka di uno dei successi a fumetti più celebri del mondo, Monster.

L’ammirazione di Urasawa nei confronti di Katsuhiro Otomo è cristallina, naturale e genuina. La dedizione con cui questo autore ha da sempre, fin dalle pubblicazioni di Dancing Policeman e Pineapple Army, voluto seguire le orme di Otomo è ammirevole. Insomma, quest’ultimo ha rischiarato la via del giovane e talentuoso fumettista, divenendo una perenne fonte d’ispirazione da cui attingere, nonché un compagno d’avventure.

Ciò che Otomo mi ha insegnato è che se c’è qualcosa che la tua sensibilità artistica ti dice di fare, devi manifestarla apertamente. Questo è un esempio piuttosto banale, ma quando facevo parte di una campagna pubblicitaria per l’adattamento cinematografico di Spriggan insieme ad Otomo, il cameraman ci ha chiesto di posare con i pugni alzati. Alla richiesta Otomo declinò e il cameraman ha abbandonato l’idea. Fino ad allora avevo sempre fatto come mi era stato detto, rimasi sorpreso dalla facilità con cui gli aveva fatto cambiare idea.

Naoki Urasawa

Hisashi Eguchi

Hisashi Eguchi è un rinomato mangaka in Giappone, mentre in Italia è pressochè sconosciuto (soltanto adesso con Stop!! Hibari-kun edito da Coconino sta emergendo il suo variopinto stile). Insieme ad Urasawa condivide una stima indescrivibile per Katsuhiro Otomo, di cui seguirà il lungo percorso come ammiratore e come collega. La sua simpatica creatività e il suo spirito sempre ironico ed esilarante emergeranno chiaramente in queste parole.

A vent’anni, quando mi sono imbattuto nell’opera di Otomo, sembravo Yutaku Mizutani, il fratellino in Kaze Darake no Tenshi, e correvo a caso urlando “Hey, fratello! Fratellone!”. Ancora adesso, ed abbiamo entrambi sessant’anni. Devo essere davvero stressante… basta che urli “Mr. Otomo! Mr. Otomoooo!!” e lui mi aiuta sempre. Anche se alla fine brontola un “e va bene!”. Otomo è un artista molto più esperto e di un livello davvero molto elevato. Non ho mai preso in considerazione gli appellativi sociali come “senior” o “junior” e questo forse mi ha lasciato un po’ distante dalle relazioni sociali. Ma con Mr. Otomo penso sia il giusto modo per approciarsi. Spero che stia sempre davanti a me, e spero che io possa restargli attaccato dietro, seguendo le sue orme ma trovando anche un mio percorso personale. Non penso ci sia nessun’altra persona più anziana per cui provi un sentimento così forte.

Hisashi Eguchi

Adoro soprattutto il “puro” Otomo degli esordi. Quei racconti erano di una bellezza raffigurabile solo attraverso il manga, un’estetica che rimandava sia al jazz che al rakugo. Grazie all’immenso salto di qualità offerto dall’arte del manga del signor Otomo, è pieno di persone che al giorno d’oggi possono disegnare alla pari di opere fantastiche come Akira e Domu, ma nessuno ha catturato l’atmosfera di quelle prime opere.

Hisashi Eguchi
Illustrazione di Hisashi Eguchi per Roujin Z, il lavoro sopracitato di Satoshi Kon e Katsuhiro Otomo. Il character design del film è stato affidato proprio ad Eguchi.

Masakazu Katsura

Masakazu Katsura è considerato uno degli autori più versatili su tutto il panorama del manga. Dopo aver donato quella dolcezza strappalacrime capace di rivoluzionare il genere ecchi in Video Girl Ai, ha iniziato ad offrire nuove prospettive nel seinen con il suo Zetman. Tra amori adolescienziali disperati e ricolmi di passioni e diatribe filosofiche fra giustizieri, Katsura si esprime così riguardo ad uno dei suoi più grandi ispiratori.

Adoro Domu.
Ho conosciuto per la prima volta quest’opera quando avevo appena iniziato a serializzare un racconto in una rivista settimanale per ragazzi. Il mio assistente comprò qualche fumetto facendo shopping e, ad un certo punto, si sedette vicino a me totalmente assorto in quello che aveva comprato. Probabilmente quel fumetto era appena uscito e lui stava continuando a sussurrare “Incredibile! Fantastico!”, senza finire il suo lavoro. Curioso nel vederlo così eccitato, gli ho preso il volume e, prima che l’avessi finito, corsi fuori per recuperarmi una mia copia.
In realtà non leggo molti manga, all’epoca mi era familiare soltanto lo stile del fumetto per ragazzi. La descrizione dell’ESP, la battaglia tra una ragazzina e un anziano, hanno rappresentato uno “shock culturale” per me. Non ho potuto far altro che leggerlo e rileggerlo ancora, esclamando “Incredibile! Fantastico”. E comunque, non ultimai nessuna tavola quel giorno.

Masakazu Katsura

Quando ci ripenso, mi viene sempre in mente che, prima dell’ammirazione, ci fu una sconvolgente sensazione di sconforto dal momento che io non avrei mai saputo disegnare una cosa del genere. Come se tutto ciò che fosse rappresentato in quel fumetto fosse invalicabile, di un altro pianeta. Il terrore e il realismo dell’atmosfera che crea Domu sono ancora sconvolgenti.

Masakazu Katsura

Masashi Kishimoto

Uno degli autori che di più venne colpito dall’impatto con il mondo grintoso e turbolento di Katsuhiro Otomo fu Masashi Kishimoto, il famosissimo papà di Naruto. Si dice che fu proprio grazie ad Akira che si risollevò da una bruttissima situazione che stava facendo sfumare la sua carriera da mangaka. Con queste bellissime metafore dedica un commento al maestro, insistendo sul particolare tema della famiglia, a lui caro. Il mondo del manga diviene una filiazione generazionale.

Sebbene riconosca che non sia così per tutti, per quanto mi riguarda, le persone che, fin da quando ero piccolo, più hanno ispirato le mie molteplici aspirazioni sono state mia madre e mio padre. Anche come artista ho una mamma e un papà. Mia “mamma” è Akira Toriyama, che ho seguito come un anatroccolo per avvicinarmi nel mondo dell’arte e per non perdermi. Mio papà è quello che, quando mi trovavo nella mia fase più ribelle e nonostante non mi desse attenzioni, mi mostrò come fronteggiare la crudeltà del mondo con grandissima dignità: Katsuhiro Otomo.

Ora è più imponente di quanto non sia mai stato, ma quando ricevetti l’autografo di Otomo, sentii come se mio “padre” mi avesse riconosciuto e fui contentissimo. Forse stavo semplicemente fantasticando ma non mi importava. Dopotutto, non soltanto io ma tutti gli altri suoi “figli” – i miei fratelli cioè – ci sforzavamo tantissimo per ricevere anche soltanto una minima attenzione. Tra tutti i bambini che nonno Moebius ha fatto nascere in giro per il mondo, Katsuhiro Otomo spiccava particolarmente. E adesso è mio padre; senza di lui, non sarei quello che sono.

Masashi Kishimoto

Jiro Matsumoto

Jiro Matsumoto, famosissimo autore di Freesia, si è dimostrato uno dei mangaka più maturi, a livello artistico e contenutistico, degli ultimi anni. Le sue narrazioni sporche, crude e violente indagano spesso i meandri della psicologia umana più tetra e le sottocategorie del manga seinen, venendo a destrutturarle. In questo breve aneddoto spiega molto chiaramente quanto sia importante la presenza di Otomo nella vita di un mangaka della nuova generazione e non solo.

Sospetto che la gran parte dei mangaka della mia generazione ha condiviso lo shock generato dalla lettura di Otomo e che i loro lavori siano ispirati moltissimo dal suo stile. Quindi Otomo non è come gli altri artisti. La sua tecnica e le sue espressioni sono strumenti naturalmente installati nelle nostre teste e la domanda è quanto possiamo sviluppare il nostro stile partendo da quelle basi. Soltanto l’anno scorso ho tenuto una conferenza con il maestro Otomo per la prima volta. Portai la copia del primo volume di Akira, ora pieno di orecchie e senza copertina, che riuscii ad acquistare con una paghetta irrisoria quando ero al primo anno di scuola media, e glielo feci autografare.

Forse preoccupato per gli altri artisti intorno a lui, Otomo indugiò, consigliandomi di portare il volume al prossimo incontro. Cedetti, ma Otomo iniziava ad essere parecchio brillo e a cantare al karaoke. Pensai: “Cosa succederebbe se venisse investito da un treno tornando a casa e morisse? Come farei a ricevere il mio autografo?”. In definitiva, gli tesi un’imboscata fuori dai servizi e ricevetti l’agognato autografo. In realtà lo vidi anche il giorno dopo, per cui aveva ragione a dirmi che non dovevo preoccuparmi per la firma. Pertanto mi scusai per essere stato così pressante. Era la prima volta nella mia vita che volevo un autografo ed ero molto nervoso. Inoltre, sono davvero onorato di aver ricevuto una sua recensione per un mio lavoro.

Jiro Matsumoto

Taiyo Matsumoto

Taiyo Matsumoto è da sempre uno dei maestri del manga alternativo. Il suo stile inconfondibile e le trame sottili e bizzarre hanno reso l’artista uno dei più acclamati della sua generazione. La sua versalità nel trattare dei temi della giovinezza e dell’amicizia non ha potuto non interferire più volte con l’arte di Otomo. Tekkon Kinkreeet, Go Go Monster e No. 5 potrebbero aver raccolto l’eco di opere come Akira, Domu e The Legend of Mother Sarah.

Riesco ancora a ricordarmi l’impatto che ebbi leggendo Domu. I suoi personaggi erano così vivi, era come se esistessero all’interno delle pagine dell’opera. Quel volume mi cambiò per sempre la vita; mi mise sulla strada per diventare un’artista.

Taiyo Matsumoto
Un’illustrazione di Taiyo Matsumoto che omaggia Akira. Il primo volume appariva più o meno così.

Tsutomu Nihei

Tsutomu Nihei è, molto probabilmente, uno dei mangaka che più sono stati influenzati dall’atmosfera e dalla visione del mondo di Otomo. Blame!, Abara e Biomega sono prodotti del tutto compatibili con gli universi dell’autore di Akira. Una cura maniacale per l’anatomia del paesaggio, un’attenzione meticolosa sulla decadente architettura distopica e le atmosfere plumbee accumonano i due autori. Tra storie confuse, finali intricatissimi e tavole uniche nel loro genere, Nihei e Otomo hanno una “parentela” molto stretta.

Ero al mio secondo anno di scuole medie quando ho scoperto Akira. Ho avuto più volte modo di riflettere su quanto e come il maestro Otomo mi abbia influenzato.

Tsutomu Nihei

Shirow Masamune

Shirow Masamune potrebbe essere considerato, con le sue opere, il fratellastro di Otomo. Senza dubbio fu uno dei primi autori a riprodurre sulle sue pagine l’influenza di Otomo e, soprattutto, fu uno dei primi che coadiuvò l’artista nell’espansione del genere cyberpunk. Questo processo si cristalizzò con Akira e con Ghost in the Shell, da sempre considerata sua opera gemella. L’impatto di questi due capolavori continua, in modo inestinguibile, ancora oggi. Nonostante il maestro Masamune sia arrivato tardi, fu molto in anticipo con i tempi.

Mi sono imbattuto in Otomo un po’ tardi, dal momento che la mia vita è stata praticamente priva dell’influenza di anime e manga fino al college. Le cose, all’epoca, erano meno convenienti rispetto ad adesso, perciò tutto ciò di cui ho sentito parlare riguardo Fire-Ball erano rumor; ho atteso finché il volume non venne pubblicato per vederlo. In seguito, le prime letture che feci delle sue opere furono Kibun wa mo senso, Hansel to Gretel and Buki yo saraba. Ebbi alcune complicazioni nel reperire Domu e tardai nel leggerlo rispetto a molti altri. Molto di ciò che realizzò fu poco ortodosso, ma io fui tra quelli che, in seguito, beneficiarono nel seguire il sentiero a cui egli stesso diede vita. Davvero, grazie moltissimo!

Shirow Masamune
Katsuhiro Otomo insieme a moltissimi altri mangaka famosi: colleghi competitivi e amici solidali.

📎 Fonti:
Paul Gravett – Katsuhiro Otomo
Susan J. Napier – Anime from Akira to Princess Mononoke: Experiencing Contemporary Japanese Animation
Susan J. Napier – The Fantastic in Modern Japanese Literature: The Subversion of Modernity
ChronOtomo [molto probabilmente la più grande raccolta che riguarda tutto ciò che Otomo ha creato]
Otomo: A Global Tribute to the Mind Behind Akira
Akira Club

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