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A tavolino con Atsushi Kaneko: quando atipicità e cinema si mescolano in un unico calderone

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“Eccomi là. Cioè Alex, e i miei tre drughi. Cioè Pete, Georgie e Dim. Ed Eravamo seduti nel “Korova Milkbar” arrovellandoci il gulliver per sapere cosa fare della serata. Il “Korova Milkbar” vende “latte +”, cioè diciamo latte rinforzato con qualche droguccia mescalina, che è quel che stavamo bevendo. È roba che ti fa robusto e disposto all’ esercizio dell’amata ultraviolenza.”

Da “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick – Alex De Large

Questa è una delle citazioni più famose nella storia del cinema, appartenente ad un lungometraggio che, piuttosto di limitarsi ad impressionare la platea, decise di rivoluzionare completamente l’intero universo cinematografico. Era il lontano 1971 quando il caratteristico Alex De Large, interpretato da Malcolm McDowell, debuttò sul grande schermo nei panni del protagonista di “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, una trama che, seppur tratta dall’universo criminale distopico di Anthony Burgess, riuscì a distinguersi in tutti i sensi e in seguito a distaccarsi dalla massa, venendo ricordata come una delle storie più caratteristiche di sempre.

Quando l’autore in questione risponde al nome di Atsushi Kaneko, è oramai obbligatorio iniziare un discorso riferendosi al cinema e ai suoi registi. Anche Kaneko, dopotutto, spinto da un’irrefrenabile passione per l’arte di Kubrick, Lynch, Suzuki e molti altri ancora, decise nel 2005 di debuttare con il suo “Ranpo Jigoku”, un film interamente basato sulle idee di Ranpo Edogawa. Ma come possono cinema e manga combinarsi al fine di dare origine ad un’unica idea? Lo stesso autore ce lo spiega proprio attraverso l’esempio di “Arancia Meccanica”, ovvero il lungometraggio che più lo colpì durante la sua giovinezza.

“Quando vidi per la prima volta al cinema “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick rimasi folgorato. Capii che era quello il tipo di argomenti di cui volevo parlare.”

Atsushi Kaneko
Alex e i suoi drughi seduti al Korova, ritratti in una delle scene più iconiche di tutta “Arancia Meccanica”.

L’impatto con il mondo cinematografico: cosa è rimasto impresso di “Arancia Meccanica”?

• Atsushi Kaneko: Dell’ “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, che preciso essere uno dei miei registi preferiti in assoluto, mi è rimasta sicuramente impressa la violenza gratuita che Alex e la sua banda di drughi esercitano all’inizio del film. Loro la definiscono “ultraviolenza” e dal monologo interiore del protagonista, udibile nell’introduzione, si può chiaramente capire che i personaggi intravedono il crimine e la brutalità come uno sbocco malato, ma non per raggiungere i propri fini, non vi sono conseguenze. Ecco, tutto ciò mi colpì a tal punto da cambiarmi la vita. “Le avventure di un giovane i cui principali interessi sono lo stupro, l’ultra-violenza e Beethoven”: “Cosa!?”, esclamai, come si può presentare al pubblico del materiale così crudo con un tono così pacato e controllato?

Cosa ne pensa della musica nel lungometraggio di Kubrick?

• Atsushi Kaneko: Penso che la musica di Beethoven (e non) ricopra un ruolo centrale all’interno del lungometraggio di Kubrick. Il giovane Alex condivide un rapporto viscerale con le produzioni del compositore…

• Nota: Così come Alex è letteralmente ossessionato dalla musica di Ludwig van Beethoven, Stanley Kubrick, durante l’assemblaggio del film, trovò l’ispirazione nei brani di Gioachino Rossini (fra tutti viene ricordata “La Gazza Ladra”, che dettava il ritmo spedito e guidava le immagini turbolente nella prima metà del lungometraggio).

…rapporto che nel romanzo di Burgess viene notevolmente ampliato, andando a citare, rimanendo sempre nel campo della musica classica, altri geni quali il già citato Rossini, Elgar e Purcell (è udibile nel prologo il suo brano per il funerale della regina Maria) e come dimenticarsi dello spettacolare omaggio al Singin’ in the Rain di Freed?

C’è qualche scena all’interno di “Arancia Meccanica” che le è rimasta particolarmente impressa? Il film di Kubrick l’ha mai aiutata nella stesura di alcune sue opere?

• Atsushi Kaneko: Certamente, mi è tutt’ora difficile dimenticare alcune parti del lungometraggio, proprio perché ebbero un impatto sul giovane me stesso che dubito altri film potrebbero avere. Ad esempio: la scena in cui Alex e i suoi drughi pestano il clochard rimane uno dei miei momenti preferiti, tanto che ancora oggi ricordo parte delle battute a memoria. Nel 2018, mentre stavo lavorando ad una delle mie ultime opere, “Search and Destroy”, idea nata come un riadattamento del “Dororo” di Tezuka, mi venne naturale citare esplicitamente il pestaggio del barbone in una delle vignette. Non avevo mai inserito un riferimento diretto ad “Arancia Meccanica” in una mia storia prima d’ora, rimasi veramente soddisfatto.

Dunque direi di sì, il film di Kubrick mi ha aiutato spesso nella stesura delle mie opere. Certe persone mi hanno anche fatto notare delle piccole correlazioni fra il lungometraggio in questione e “Deathco”, che, per chi non lo sapesse, è una delle mie trame più violente. Non ho mai smentito ipotesi simili, tuttavia “Deathco” segue passo passo le idee di un altro grande regista, ovvero Seijun Suzuki. Nel 2014 consideravo i suoi film una vera e propria dipendenza.

Ha appena citato Seijun Suzuki, qual è il suo film preferito del repertorio del regista? Ci sono altri lungometraggi di cui è un grande appassionato?

• Atsushi Kaneko: Sicuramente “La farfalla sul mirino”, un film che ho indirettamente e leggermente citato in “Wet Moon“. Tuttavia adoro particolarmente anche “Elegia della lotta” e “La giovinezza di una belva umana”, a quest’ultimo sono molto affezionato, è stato il mio primo lungometraggio di Suzuki. Sono svariati i miei film preferiti, se iniziassi ad elencarli uno ad uno probabilmente non finiremmo più (ride). Per semplicità, dunque, mi limito a citare alcuni dei miei registi prediletti: David Lynch, Luis Buñuel, Alfred Hitchcock, Steven Spielberg e Ridley Scott, tuttavia non lo nego, sono solo una minima parte.

Ultimamente ha avuto l’opportunità di guardare altre opere cinematografiche? Se sì, quali sono quelle che più l’hanno affascinata?

• Atsushi Kaneko: Non smetto mai di guardare film! (ride). Rispondendo seriamente: ultimamente ho a disposizione poco tempo, perché devo riflettere attentamente sulla mia nuova opera (si riferisce ad “EVOL”, l’ultimissima perla regalataci da Kaneko). Tuttavia in questi ultimi mesi ho avuto il piacere di godermi lungometraggi a me sconosciuti. Fra quelli che mi hanno colpito di più ci sono sicuramente “Parasite”, “The Host” e “Memorie di un assassino” di Bong Joon-ho, un regista che ultimamente sta riscuotendo molto successo; ho visto anche roba niente male di Robert Eggers, come “The Lighthouse” e “The Witch”, nonostante la sua giovane età ci sa fare.

Ephraim Winslow (interpretato da Robert Pattinson) e Thomas Wake (interpretato da Willem Dafoe) in una delle scene di “The Lighthouse”: l’ultima piccola perla di Robert Eggers.

In molti considerano il suo “Soil” un lontano parente di “Twin Peaks” di David Lynch, che ha affermato essere uno dei suoi registi preferiti. Cosa ne pensa di tali affermazioni?

• Atsushi Kaneko: Ho visto “Twin Peaks” di Lynch nel 2002, ovvero poco tempo prima dell’effettiva pubblicazione su Comic Beam di “Soil”. Ammetto che il cinema di David Lynch mi ha fornito numerose volte l’ispirazione per i miei manga, tuttavia mi dispiace contraddire le opinioni del pubblico, seppur molto vicine alla verità, proprio perché per l’opera citata mi sono basato principalmente sui reami surreali e psichici di “Eraserhead – La mente che cancella”, che ho avuto il piacere di riproporre, in maniera ovviamente più elaborata, in seguito grazie a “Wet Moon”.

Ha tirato in ballo “Eraserhead”, ed ora è d’obbligo porle una domanda: cosa l’ha colpita in particolar modo del lungometraggio di David Lynch?

• Atsushi Kaneko: Questa è una domanda difficile, proprio perché l’intero repertorio di Lynch è stravagante e splendidamente surreale. “Eraserhead” è da molti definita come una trama estremamente criptica ed emblematica, talmente emblematica che perde di significato. Non sono d’accordo, su nessuna delle due affermazioni. Lessi tempo fa un’intervista fatta a David Lynch, che aveva il compito di prendere in esame proprio “Eraserhead” e rimasi completamente sbalordito quando lo stesso regista affermò quanto segue:

“”Eraserhead” è il mio film più spirituale ed intimo […] Non necessita di una precisa spiegazione, proprio perché ogni opera cinematografica viene necessariamente fruita in maniera differente a seconda dello spettatore […] Certe cose mi sembrano meravigliose senza che se ne conosca il motivo. Altre significano moltissimo per me, ed è difficile spiegare il perché. Io ho sentito “Eraserhead”, non l’ho pensato.”

David Lynch

In queste parole io intravedo tutta la spiritualità e la sincerità di Lynch, che, dal canto suo, non si sforza a servire su un piatto d’argento una precisa analisi al suo pubblico, bensì lascia aperta la questione, lasciando allo spettatore il compito di intendere il film. Questo a mio parere è il cinema.

La locandina di “Eraserhead – La mente che cancella” di David Lynch. Come se non bastasse, il bianco e il nero donano al lungometraggio un aspetto ancor più spettrale e gotico. I lenti movimenti della cinepresa e le atmosfere, che alternano aberranti silenzi e fastidiosi rumori di sottofondo, conferiscono al film un’aria suggestiva, quasi statica.
Ma dopotutto anche “Soil”, privo di ogni tipologia di chiaroscuro, richiama in maniera impressionante la staticità e la surrealtà presente in “Eraserhead”. A quanto pare Atsushi Kaneko è riuscito nel suo intento.

Concentriamoci ora sulle sue opere. Visto che siamo in tema, può parlarci di “Soil”? Quali sono i fattori scatenanti che l’hanno spinta a raccontare una trama simile?

• Atsushi Kaneko: Adoro di mio i polizieschi, i gialli e tutto ciò che gravita attorno al genere noir, dunque ero dell’idea che prima o poi avrei dovuto disegnare una storia simile. Penso che “Soil” sia la mia opera più completa, ma al contempo quella che possiede più buchi. È difficile da spiegare, ma a differenza di altre trame come “Wet Moon”, “Deathco” e “Bambi”, “Soil” necessita di essere ragionata e snocciolata. All’epoca ero reduce da molte storie in cui mi impegnai a modellare il mio tratto al fine di renderlo caratteristico e quando arrivò il momento di buttare su carta un (vero) manga non ebbi alcuna pietà, inserii quanti più enigmi e personaggi potessi creare. Probabilmente, ora come ora, cambierei alcune parti della narrazione, tuttavia sono molto felice del risultato ottenuto.

“Soil” è un’opera che cambia volto molto velocemente: inizialmente sembra tutto tranquillo, ma poi la frittata viene completamente ribaltata. Rientrava tutto nei suoi piani?

“Che vuol dire che non ci capite niente?!… Non percepite l’angoscia che prende tutti?! Dev’essere eliminata subito!”

“Soil” – Capitolo due

• Atsushi Kaneko: Faceva tutto parte dei miei piani sin dal principio. Ho appositamente inserito, all’inizio dei capitoli introduttivi, delle tavole che mostrano tutta la bellezza e la tranquillità che regnano sovrane in Soil New Town. Arrivai persino a pensare fra me e me: “Che invidia questà serenità! Qui è tutto troppo tranquillo, devo fare assolutamente qualcosa”. Fu così che decisi di far sbocciare l’inquietudine proprio da quei semi della tranquillità. Il mio obiettivo era quello di far capire al pubblico che in realtà, sotto sotto, c’era qualcosa che non andava e per farlo adottai un metodo unico, che sfrutta semplicemente le vignette di un’opera 4-koma.

Come si può ben notare, Kaneko ha adoperato l’impaginazione classica di un’opera 4-koma in maniera del tutto caratteristica. La tavola è una sola, non vi sono infatti quattro vignette sequenziali, spezzata dai riquadri circostanti. Già solo da qui possiamo capire che Soil New Town non è così perfetta come appare.

Durante la narrazione, è possibile notare più volte due ragazzini sempre inseriti in situazioni comiche. Quanto è importante la loro presenza in “Soil”? Il suo intento era per caso quello di inserire piccole gag anche in una storia così tesa?

• Atsushi Kaneko: Ah! Loro sono Seki e Tomiyama del club del paranormale. Non mi aspettavo affatto una domanda su questi due personaggi, devo ammetterlo. Certamente comunque, il mio intento era quello di inserire anche delle piccole gag comiche all’interno della storia, tuttavia il loro ruolo è ben altro. Adoro la fantascienza e sono un amante dei racconti sci-fi che trattano di apparizioni UFO o roba simile, per questo motivo ho voluto omaggiare, attraverso queste due ambigue figure, uno dei maggiori interessi del XX secolo. Anche in “Wet Moon” ho agito in maniera simile, anche se in quel caso era l’allunaggio ciò che volevo prontamente citare.

Non so se si nota particolarmente, ma anche in altre mie opere, come ad esempio “Deathco”, ho inserito altri personaggi simili che, stranamente, agiscono sempre in coppia. La mia idea era quella di costruire un ponte diretto fra la trama e il lettore attraverso queste macchiette.

Per la creazione di “Soil” si è per caso ispirato ad altre fonti?

• Atsushi Kaneko: Oltre al cinema di David Lynch direi proprio di sì. “Soil” è pieno zeppo di riferimenti al cinema noir – seppur ne includa meno di “Wet Moon”, questo è logico – , intriso di citazioni provenienti per la maggior parte dai miei film del genere preferiti. Tuttavia, è presente nell’opera anche una componente fantascientifica se così possiamo chiamarla. In certi punti della storia, infatti, ho prestato molta attenzione nell’omaggiare la rivista sci-fi Amazing Stories fondata da Hugo Gernsback nel 1926 e in seguito pubblicata sotto nominativi differenti; all’epoca ero un vero appassionato di quel genere di fumetti. Può non sembrare forse, ma “Soil” guarda veramente di buon occhio la fantascienza e le sue incredibili storie.

Da notare un particolare veramente interessante in questa tavola, ovvero la “mosca” ritratta nella prima vignetta in alto a sinistra, la quale sembra letteralmente fuoriuscire dal disegno, dando vita, dunque, ad una terza dimensione.
E pensare che persino un dettaglio così piccolo ha una storia alle spalle. Kaneko ha chiaramente rivelato, infatti, di essersi basato su questa copertina di Amazing Stories per la creazione del particolare, raccontando che in questo numero era presente una storia che raccontava di mosche giganti a tre teste.

Molti lettori hanno accostato “Soil” a “Wet Moon”, sostenendo che le due opere siano caratterizzate da un’architettura simile. Cosa ci può dire a riguardo?

• Atsushi Kaneko: Sì, effettivamente confermo che “Soil” e “Wet Moon” hanno molto da spartire. Tuttavia la mia è un’affermazione, se così vogliamo chiamarla, insicura, basti infatti solamente pensare alle conclusioni delle due storie: completamente differenti l’una dall’altra. In “Soil” ho presentato al pubblico un vero e proprio puzzle, composto dai più svariati e stravaganti personaggi, spettava al lettore decifrare il rompicapo e in un certo senso mi sarebbe piaciuto se i fan, durante la lettura, si fossero lasciati andare alle più bizzarre supposizioni. D’altro canto, invece, “Wet Moon” prende forma da uno stampo differente: la storia inquadra principalmente i deliri di Sada e le sue più insane follie, non è una storia dove alla fine tutto si assembla automaticamente, ma che necessita di essere riflettuta.

Parlando ora a proposito di “Wet Moon”: in quest’opera è evidente una citazione alla luna di Méliès e allo spazio in generale. Com’è nato in lei il desiderio di omaggiare uno dei cortometraggi più antichi della storia del cinema?

• Atsushi Kaneko: “Wet Moon” in realtà non nasce come opera che vuole omaggiare la luna di Méliès, bensì come opera che vuole omaggiare l’universo cinematografico in generale. Da questo importante presupposto deriva la mia decisione di introdurre come figura onnipresente nella trama il satellite terrestre di Georges Méliès, che nella storia del cinema rappresenta un vero e proprio simbolo: una fantastica rivoluzione. Il mio intento era anche quello di coniugare spazio, che nel XX secolo, soprattutto nella sua seconda metà, era visto come uno dei principali obiettivi da raggiungere e cinema; cosa poteva accomunare due mondi così diversi? Semplice, la luna!

• Potrebbe interessarti anche: “Wet Moon”: l’omaggio al cinema di Atsushi Kaneko.

La luna di Georges Méliès e l’allunaggio del ’69 (risulta evidente in questa illustrazione che Kaneko riporta esattamente su carta il famosissimo scatto che ritrae Buzz Aldrin), cosa può collegare due poli talmente distanti fra di loro? La risposta è una sola: una trama di stampo noir/poliziesca alla Atsushi Kaneko.

Ha dunque deciso di mettere sotto i riflettori un periodo rivoluzionario: è stato difficile raccontare degli anni così zeppi di novità?

• Atsushi Kaneko: No, non è stato affatto complicato introdurre i personaggi da me creati nel clima tipico degli anni ’60. Era un periodo in cui l’umanità aveva gli occhi puntati al cielo, tuttavia la febbre della luna non era l’unica novità. D’altro canto, infatti, la musica e l’arte del tempo stavano progredendo repentinamente; mi vengono ad esempio in mente i Beatles e i Rolling Stones, che fiorirono proprio negli inizi degli anni ’60, oppure la pop-art, una delle correnti artistiche a cui sono più affezionato, che mostrò il massimo splendore proprio in questo periodo. Oserei quasi dire che “Wet Moon” è stata una trama facile da scrivere, non ho dovuto fare alcuna ricerca, mi sono affidato semplicemente al mio bagaglio culturale.

In “Wet Moon” il suo tratto diventa più curvilineo e uniforme. Questo cambio di stile è per caso un qualcosa di voluto?

• Atsushi Kaneko: Ottima intuizione. Preciso innanzitutto che cerco sempre di adattare il mio tratto alla storia che ho intenzione di raccontare, di conseguenza, dunque, potremmo quasi dire che il mio stile varia. Cerco sempre di spingermi oltre le mie capacità, il mio obiettivo è quello di dare luce ad un’arte poliedrica. L’aspetto vermiculato di “Wet Moon” contribuisce a conferire all’opera un volto illusorio, quasi onirico, dando vita ad una dimensione quasi irreale, di cui Sada e la luna sono gli indiscussi protagonisti. Ora ti spiegherò il vero motivo che mi spinse nel 2011 a scegliere un titolo simile.

“Wet Moon” in inglese significa “luna bagnata” ed indica in astronomia una specifica fase lunare in cui il satellite terrestre assume una forma simile a quella di un sorriso arcigno. Prima ancora che l’uomo mettesse piede per la prima volta sulla luna, questi si chiedeva se su di essa si nascondesse dell’acqua, della vegetazione, oppure persino degli animali, insomma sognava in grande, così come Méliès pensava che sul satellite vivessero degli umanoidi con le nostre stesse abitudini. Eppure, nulla di tutto ciò viene trovato, solamente pietre su pietre. Apprendendo la verità effettuale, l’essere umano perde la capacità di immaginare, “Wet Moon” è proprio la luna che gli uomini si sono lasciati sfuggire quando sono andati a vedere da vicino che aspetto questa avesse.

Un altro dettaglio estremamente caratteristico emerge dalla figura di Komiyama Kiwako: come mai, in certe parti della narrazione, ha deciso di rendere così evidente il suo personaggio attraverso quell’impermeabile rosso fiammante?

• Atsushi Kaneko: In questo caso non è stata una scelta personale, bensì un qualcosa che ha sempre a che vedere con gli anni in cui la storia di “Wet Moon” è ambientata. Siamo nella seconda metà del XX secolo, un periodo in cui la figura femminile non veniva ancora considerata al pari di quella maschile; in questo periodo, infatti, alle donne erano vietate azioni e diletti al giorno d’oggi ordinari. Tramite il personaggio di Komiyama Kiwako il mio intento era quello di girare la frittata. Il mio principale obiettivo era quello di rimarcare l’importanza dell’individuo femminile fra le pagine del mio manga, per questo motivo ho deciso di far indossare alla squartatrice un’impermeabile dal colore così acceso.

Molti lettori sostengono che “Wet Moon” sia la sua opera più complessa da comprendere ed analizzare. Potrebbe fare un po’ di luce sul finale della storia?

• Atsushi Kaneko: “Wet Moon” è effettivamente senz’alcun dubbio il mio racconto più emblematico, che mostra il suo vero volto proprio verso il finale. Sono solito inserire pochi dialoghi durante i momenti cruciali, preferisco lasciare più spazio alle immagini in tutta la loro genuinità, per questo motivo, probabilmente, le mie opere risultano non sempre facili da comprendere. “Wet Moon” è tutto un delirio, un assurdo delirio che coinvolge in prima persona il protagonista, il quale però potrebbe contemporaneamente rappresentare l’allegoria della condizione umana. Le allucinazioni che si alternano nell’immaginario di Sada potrebbero quasi essere paragonate alle scene di un film: rapide e intense, effettivamente è come se la figura principale stia osservando un film, o meglio, è come se stesse recitando in un film. Verso il finale dell’opera ho volutamente inserito una frase a mio parere molto significativa, ovvero “La pazzia di un solo uomo può inghiottire il mondo intero”, ecco, la chiave di lettura si cela proprio dietro queste parole.

Venendo ora a “Deathco”. In questa sua opera si può notare un chiaro omaggio alle opere horror e alle loro varianti, basti ad esempio osservare attentamente i costumi dei “reaper”. Era per caso questo il suo intento?

• Atsushi Kaneko: Sì, più o meno. In verità non ho mai voluto citare personaggi famosi provenienti dal genere horror in “Deathco”, o meglio, all’inizio i presupposti c’erano, mi sarebbe piaciuto tantissimo fare riferimento a “Nightmare” e al suo Freddy Krueger, a “Venerdì 13” e al suo Jason Voorhees, oppure ad “Halloween” e Michael Myers, che tengo a precisare essere uno dei miei film horror preferiti. Tuttavia alla fine ho rinunciato a tale idea, volevo lasciare più spazio alla violenza, che in quest’opera è protagonista indiscussa. Vi rivelerò un piccolo segreto però: il castello in cui dimora Madame M, quello è in parte ispirato al castello di Bran, dove si dice che Bram Stoker abbia ambientato “Dracula”.

In “Deathco”, così come in “Bambi”, la protagonista è una ragazzina che, dietro la maschera di sicario, cela una natura sofferente e fragile. Come mai ha voluto rimarcare questo preciso status psicologico?

• Atsushi Kaneko: Quello che hai appena descritto in poche parole è lo status psicologico che attribuisco solitamente ai miei protagonisti femminili, come Deathco e Bambi, per l’appunto. Soprattutto in “Deathco” questo aspetto diventa molto importante, proprio perché il lettore si trova davanti ad un’ambivalenza, in cui la figura principale da un lato dimostra una natura sadica e dall’altro estremamente fragile ed insicura. Farei fatica ad applicare una logica simile nei personaggi maschili, proprio perché in loro mi rispecchio, non ho bisogno di pensarli da zero. Quando creo i soggetti che devono recitare nel mio manga presto sempre molta attenzione alle loro personalità, questi necessitano di due identità completamente differenti che si alternano in un infinito gioco di forze contrapposte. Penso che “Deathco” sia l’opera che meglio mostra tali contrasti.

Facendo ora un salto indietro nel tempo: può spiegarci a grandi linee come è riuscito a coltivare il suo stile personale? Quali sono le origini dietro il tratto di Atsushi Kaneko?

• Atsushi Kaneko: Il mio stile trae ispirazione principalmente dalla Pop-art, che tutto sommato è una corrente artistica piuttosto antiquata seppur incredibilmente iconica. Quando ancora ero alle prime armi, ad esempio, consideravo l’arte di Andy Warhol la mia fonte d’ispirazione principale, nonostante guardassi al tempo stesso di buon occhio lo stile tremendamente futuristico di Katsuhiro Otomo, probabilmente uno dei principali pionieri della New Wave. In questi ultimi anni, invece, seguo particolarmente i progressi di Paul Pope, che è uno dei miei fumettisti preferiti, con il quale, fortunatamente, ho avuto anche il piacere di collaborare per la creazione di “Punto di rottura”*.

* “Punto di rottura” è una splendida antologia che ha deciso, nel 2016, di raccogliere l’eredità lasciata dalla Humanoïdes Associés: una casa editrice fondata nel 1974 che ha ospitato da sempre autori che hanno letteralmente rivoluzionato il concetto di “fumetto”, quali, ad esempio, Moebius, Philippe Druillet, Jean-Pierre Dionnet e Bernard Farkas (a collaborare sono stati fumettisti con tecniche e influenze completamente differenti, dando vita dunque ad una raccolta che sbaraglia i classici canoni da sempre venerati. Fra questi troviamo: Naoki Urasawa, Taiyo Matsumoto, Eddie Campbell, Enki Bilal e, per l’appunto, Atsushi Kaneko e Paul Pope).

“R” di Atsushi Kaneko è sicuramente una delle opere più sperimentali dell’intero repertorio dell’autore. Solamente guardando la copertina del volume è possibile comprendere la genialità di Kaneko, che in questo periodo, al fine di raccontare le proprie storie – veri e propri deliri – , decide di combinare fra loro più stili completamente differenti.

Comic? Atsushi Kaneko extra works

Per concludere in bellezza: qualche parola su “EVOL”?

• Atsushi Kaneko: “EVOL” è un’opera su cui ho passato molto tempo a ragionare, questo perché avrà, come potrete vedere, una struttura alquanto differente rispetto alle mie storie passate. Se si presta attenzione, il titolo “EVOL” letto al contrario appare come “LOVE”, ovvero amore, il quale ho deciso di renderlo uno dei motori principali della narrazione. A grandi linee la trama è incentrata su tre ragazzi, ognuno caratterizzato dalla propria personalità, che, ritrovandosi in condizioni disperate, prenderanno la folle decisione di ribellarsi alla realtà con cui convivono. Anche in questo caso troviamo il tema dell’adolescenza, che io reputo importantissimo ma al contempo alquanto fragile da trattare, approfondito ulteriormente di quanto avessi già fatto in “Soil”. Non resta dunque che attendere, spero di non deludervi!

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